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Cos’è la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale

psicoterapia-cognitivo-comportamentaleCenni di storia

La psicoterapia cognitiva è un orientamento terapeutico che si è sviluppato negli Stati Uniti intorno alla fine degli anni sessanta in seguito al lavoro clinico di Aron T. Beck.

Beck si accorse che i pazienti presentavano più flussi di pensieri che scorrevano parallelamente e che alcuni di essi erano direttamente responsabili delle emozioni dolorose provate dalla persona in una data situazione. Pensò, dunque, che l’analisi dei pensieri poteva aiutare l’individuo a capire la sofferenza del paziente e le cause dello sviluppo e del mantenimento dei disturbi mentali.

In seguito a queste osservazioni, l’autore elaborò un modello di intervento clinico basato sulla riflessione cosciente sulle proprie emozioni e sui pensieri ad esse associati e la messa in discussioni dei pensieri che interferivano con l’equilibrio emotivo della persona.

Questo nuovo tipo di terapia fu chiamato dallo stesso autore Psicoterapia Cognitiva in quanto, secondo Beck, il pensiero costituiva sia il problema psicologico primario che la sua cura.

Questo nuovo approccio si distingue dalla psicoanalisi classica in quanto sostiene che le motivazioni della sofferenza mentale e i meccanismi di cambiamento psicologico non sono necessariamente da ricercare nell’inconscio, ma possono essere compresi a partire dall’analisi dell’esperienza cosciente della persona.

Negli anni successivi gli studi di Beck hanno posto le basi per la nascita di altri tipi di terapia cognitiva, come ad esempio la terapia razionale-emotiva di Albert Ellis, il costruttivismo di George Kelly, la terapia multimodale di Arnold Lazarus, il modello teorico di Michael Mahoney, il cognitivismo post-razionalista di Vittorio Guidano.

Data la numerosità  di approcci di orientamento cognitivista che si sono sviluppati negli anni, la terapia di Aron T. Beck è stata rinominata terapia cognitiva standard .

La psicoterapia cognitiva può essere più genericamente indicata con la denominazione Terapia Cognitivo-Comportamentale in quanto ricorre spesso all’uso di tecniche di derivazione comportamentista.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale

La psicoterapia cognitiva è una forma di terapia psicologica che si basa sul presupposto che vi è una stretta relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti e che i problemi emotivi sono influenzati da ciò che pensiamo e facciamo nel presente.

La ricerca scientifica, infatti, ha dimostrato che le nostre reazioni emotive e comportamentali sono determinate dal modo in cui interpretiamo le varie situazioni, quindi dal significato che diamo agli eventi.

Immaginiamo una situazione esemplificativa: è notte e due persone sono a letto in attesa di prendere sonno, quando improvvisamente sentono un rumore. Uno dei due, un po’ seccato, si volta dall’altra parte e prova a riprendere sonno; l’altro, invece, si preoccupa, si alza dal letto e si dirige allarmato verso il luogo di provenienza del rumore. Cosa spiega questi due differenti comportamenti in risposta allo stesso evento? La differente reazione emotiva e comportamentale è determinata dall’interpretazione che i due soggetti fanno del rumore, quindi dai loro pensieri. Probabilmente, infatti, sentendo il rumore, la prima persona avrà pensato: “Al vicino sarà caduto qualcosa, domani gli chiederò di fare più attenzione a quest’ora della notte!”. La seconda persona, invece, è più probabile che abbia pensato: “Che cosa sarà successo? Staranno rubando qualcosa?”.

Lo stesso evento, quindi, può portare ad emozioni e comportamenti differenti a seconda di come lo si interpreta. Questo spiega perché una stessa situazione-stimolo può provocare in soggetti diversi, o nello stesso soggetto in momenti differenti, due reazioni completamente opposte.

Perché interpretiamo gli eventi?

La spiegazione che fornisce la teoria cognitiva è che le persone cercano di dare un senso a ciò che le circonda e si organizzano l’esperienza per non essere sopraffatte dalla grande quantità di stimoli a cui sono sottoposte ogni giorno. Con il passare del tempo le varie interpretazioni portano ad alcuni convincimenti e apprendimenti, che possono essere più o meno aderenti alla realtà e più o meno funzionali al benessere della persona.

Il modello cognitivo sostiene che ci sono tre livelli di cognizioni:

  • convinzioni profonde o core beliefs o schemi cognitivi;
  • convinzioni intermedie;
  • pensieri automatici.

Le convinzioni profonde (o core beliefs o schemi cognitivi) sono delle strutture interpretative di base con cui la persona rappresenta se stesso e gli altri e organizza il suo pensiero. In altre parole uno schema è una tendenza stabile ad attribuire un certo significato agli eventi. Ad esempio, una persona che ha uno schema di sé del tipo “Non sono amabile” penserà che nessuno mai potrà amarlo e può interpretare la fine di una relazione non come un evento che può capitare a tutti e che di solito è influenzato da più fattori, ma come la prova che nessuno lo può amare. I contenuti degli schemi cognitivi vengono considerati come delle verità assolute. Questi pensieri sono, infatti, più globali, rigidi e ipergeneralizzati rispetto alle altre forme di cognizione. Essi possono riguardare noi stessi (schema di sé), gli altri (schema dell’altro) e la relazione di sé con l’altro (schema interpersonale).

Le convinzioni intermedie sono delle idee o interpretazioni su noi stessi, sugli altri e sul mondo che ci permettono di organizzare l’esperienza, prendere decisioni in tempi brevi e orientarci nelle relazioni con le altre persone. Esse sono più malleabili rispetto alle convinzioni di base. Le convinzioni intermedie sono costituite da opinioni (es. “È umiliante andare all’esame impreparato!”), regole (es. “Devo sempre essere all’altezza della situazione!”) e assunzioni (es. “Se prendo trenta tutti mi stimeranno”!).

I pensieri automatici, infine, sono le cognizioni più vicine alla consapevolezza conscia e sono delle parole, piccole frasi o immagini che attraversano la mente della persona ad un livello più superficiale (es. “Sarò sempre un fallito!”). Essi sono facilmente modificabili e sono direttamente responsabili delle emozioni provate dalla persona.Secondo il modello cognitivo, le convinzioni profonde influenzano le convinzioni intermedie e quelle intermedie influenzano i pensieri automatici; questi, infine, interferiscono direttamente sullo stato emotivo della persona. Ad esempio, lo schema “Sono un incapace” può portare la persona ad avere la convinzione intermedia “Se non riesco a studiare vuol dire che sono davvero un fallito!”; tale assunzione, infine può far emergere il pensiero automatico “Sono proprio un fallito!”.

A cosa serve la psicoterapia cognitiva?

Alcune volte le convinzioni che abbiamo su noi stessi, sugli altri o sul mondo possono essere disfunzionali, cioè possono distorcere la realtà delle cose, attivarsi in modo rigido indipendentemente dai contesti, generare pensieri automatici negativi che producono sofferenza. Il modello cognitivo ipotizza che il pensiero distorto e disfunzionale sia comune a tutti i disturbi psicologici e che sia il responsabile del protrarsi delle emozioni dolorose e della sintomatologia del paziente.

In alcuni casi, infatti, il pensiero distorto e disfunzionale può portare allo sviluppo di circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo. Ad esempio, una persona con depressione può pensare di sé “Sono un fallito!” (pensiero) e provare uno stato di tristezza (emozione); a sua volta, la tristezza porta all’apatia e alla passività nel comportamento, che possono essere interpretate dal soggetto come un ulteriore prova del proprio fallimento personale, in altre parole la persona potrebbe pensare di sé “Sto qui senza fare niente, sono proprio un fallito!” (pensiero); tale interpretazione può generare altra tristezza (emozione) e così via.

Le emozioni negative intense (es. elevati livelli di tristezza, vergogna, colpa o ansia), inoltre, possono essere così dolorose e invalidanti da interferire con le capacità della persona di pensare chiaramente alla soluzione del problema.

Possiamo considerare i disturbi emotivi, dunque, come il prodotto di circoli viziosi che mantengono i sintomi nel tempo. E’ possibile supporre che senza tali meccanismi di mantenimento, la persona troverebbe da sola la soluzione dei suoi problemi psicologici utilizzando la capacità di risoluzione dei problemi (problem-solving) insita nell’essere umano.

La terapia cognitiva, pertanto, interviene sui pensieri automatici negativi, sulle convinzioni intermedie e sugli schemi cognitivi disfunzionali al fine di regolare le emozioni dolorose, interrompere i circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo e creare le condizioni per la soluzione del problema. Gli studi scientifici sul trattamento dei disturbi emotivi indicano che se si ottiene una modificazione profonda delle convinzioni si hanno meno probabilità di ricaduta in futuro.

Cosa distingue la terapia cognitiva dalle altre forme di psicoterapia?

La terapia cognitiva è fondata scientificamente

Studi scientifici controllati hanno dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva nel trattamento della maggior parte dei disturbi psicologici, tra cui la depressione maggiore, il disturbo di panico, la fobia sociale, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi dell’alimentazione, le psicosi.
Altre ricerche condotte sia a livello nazionale (es. Istituto Superiore della Sanità) che internazionale (es. Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato che la psicoterapia cognitiva ha un’efficacia maggiore o pari agli psicofarmaci nella cura di molte patologie psichiatriche. Se paragonata agli psicofarmaci, inoltre, la terapia cognitiva risulta essere più utile nella prevenzione delle ricadute. In alcuni disturbi (es. disturbo bipolare, psicosi), tuttavia, il trattamento farmacologico continua ad essere indispensabile.
È stato anche provato che questo tipo di terapia è efficace indipendentemente dal livello di istruzione, stato sociale e reddito della persona che richiede il trattamento.

La terapia cognitiva è orientata allo scopo

Dopo la prima fase di valutazione diagnostica, terapeuta e paziente stabiliscono insieme quali sono gli obiettivi della terapia ed il piano terapeutico da adottare. Generalmente il terapeuta cognitivista interviene dapprima sui sintomi che, al momento, generano maggiore sofferenza poi sugli altri aspetti del disturbo.
Periodicamente si verificano i progressi fatti rispetto agli scopi prefissati, anche mediante valutazioni testologiche.

La terapia cognitiva è centrata sul problema attuale

Lo scopo della terapia è la risoluzione dei problemi attuali del paziente e l’attenzione del terapeuta è rivolta soprattutto al qui ed ora. In modo particolare il terapeuta pone la sua attenzione su ciò che nel presente contribuisce a mantenere la sofferenza, pur considerando gli eventi passati e le esperienze infantili come utili fonti d’informazione circa l’origine e l’evoluzione dei sintomi.
Alcuni esempi di problemi attuali sono la riduzione dei sintomi depressivi, la gestione dell’ansia che porta agli attacchi di panico e la risoluzione dei comportamenti compulsivi.

La terapia cognitiva è basata sulla collaborazione attiva tra terapeuta e paziente

Terapeuta e paziente collaborano attivamente per capire il problema e sviluppare delle strategie adeguate al padroneggiamento della sofferenza generata dal disturbo. I due decidono l’argomento della seduta e lavorano per identificare, mettere in discussione e sostituire i pensieri disfunzionali che portano allo sviluppo dei problemi emotivi.

La terapia cognitiva utilizza un molteplicità di tecniche

La terapia cognitiva fa uso di una serie di tecniche che servono a gestire gli stati emotivi dolorosi del paziente. Le tecniche che vengono utilizzate variano in base al tipo di problema presentato e alla fase della terapia.
Alcune di queste tecniche, tuttavia, non sono di origine cognitivista ma provengono da altri orientamenti; in modo particolare in terapia cognitiva si ricorre spesso all’uso di tecniche di derivazione comportamentista ed è per questo motivo che spesso si parla di terapia cognitivo-comportamentale.

La terapia cognitiva mira a far diventare il paziente terapeuta di se stesso

Il terapeuta istruisce il paziente sulla natura del suo disturbo, sul processo della terapia e sulle tecniche cognitive e comportamentali. Il paziente, quindi, viene allenato a prendere consapevolezza del proprio funzionamento mentale e ad utilizzare le tecniche per gestire la propria sofferenza.
L’acquisizione delle abilità di gestione delle emozioni dolorose permette al soggetto di beneficiare del trattamento anche dopo la conclusione della terapia.

Quali sono gli strumenti del terapeuta?

A differenza di altri terapeuti (es. psicoanalisti), il terapeuta cognitivista è attivamente impegnato nella conversazione con il paziente. Durante i colloqui, inoltre, utilizza una serie di procedure e tecniche sia cognitive, che comportamentali, al fine di individuare e modificare le convinzioni disfunzionali del paziente e di favorire nuove modalità di gestione della sofferenza. Il terapeuta sceglie la tecnica da usare in base alla natura del disturbo, alla fase della terapia, agli obiettivi terapeutici e a quanto la persona è motivata a cambiare.
Le tecniche o le procedure più frequentemente utilizzate in psicoterapia cognitiva sono le seguenti.

Dialogo socratico

Il dialogo socratico è un metodo di conduzione del colloquio che consiste in una serie mirata di domande ed osservazioni volte a guidare il paziente alla scoperta delle sue convinzioni disfunzionali e a promuovere in lui un atteggiamento critico nei confronti di queste.

Scoperta guidata o tecnica della freccia discendente

La scoperta guidata è un metodo di conduzione del colloquio che consiste nel chiedere progressivamente al paziente il significato dei suoi pensieri, al fine di rilevare le convinzioni sottostanti che egli ha su se stesso, sulle altre persone e sul mondo.

Tecnica dell’ABC o monitoraggio dei pensieri automatici

L’ABC è una tecnica con cui terapeuta e paziente possono identificare il contenuto dei pensieri automatici. Tale tecnica è applicata nel modo seguente: si chiede al paziente quali sono le emozioni principali coinvolte nella sua esperienza problematica, in quali situazioni insorgono e quali pensieri o immagini (pensieri automatici) le precedono, accompagnano e seguono; poiché le persone di solito hanno difficoltà ad identificare i propri pensieri automatici, il paziente viene, dapprima, allenato a riconoscerli in seduta e, in un secondo momento, viene invitato ad utilizzare questa tecnica di auto-osservazione durante la settimana.

Problem-solving

In aggiunta ai disturbi psicologici, a volte, i pazienti presentano una specifica difficoltà nel risolvere i problemi della vita quotidiana. Il problem-solving è una tecnica che viene insegnata al paziente per trovare soluzioni ai problemi della vita reale. Tale tecnica consiste nell’identificazione del problema pratico presentato dal paziente e nella promozione di un atteggiamento attivo rispetto alla soluzione di questo. Più in dettaglio si chiede al paziente di escogitare diverse soluzioni del problema, di sceglierne una tra queste, di metterla in atto e di valutarne l’efficacia. Inizialmente il terapeuta può assumere un atteggiamento propositivo e suggerire al paziente possibili soluzioni alternative, ma con il passare del tempo egli incoraggerà la persona ad utilizzare autonomamente la tecnica del problem-solving.

Esperimenti comportamentali

Gli esperimenti comportamentali sono dei veri e propri “esperimenti” che terapeuta e paziente progettano insieme in seduta. Questi hanno lo scopo di falsificare le convinzioni (es. aspettative) disfunzionali che sono alla base dei disturbi emotivi del paziente. Una persona con disturbo di panico, ad esempio, può avere la convinzione disfunzionale che le vertigini presenti durante le crisi di ansia portino ad un imminente svenimento. In questo caso potrebbe essere opportuno realizzare questo esperimento comportamentale: terapeuta e paziente insieme fanno degli esercizi di iperventilazione (cioè aumentano la frequenza e la profondità del respiro) per autoindursi un eccesso di ossigeno al cervello e, dunque, un’innocua sensazione di sbandamento. La riproduzione di tale esperimento nel tempo farà constatare al paziente che le vertigini che avverte in certe circostanze sono causate dall’eccesso di ossigeno al cervello dovuto al modo in cui respira (iperventilazione) durante lo stato di ansia e che non si sviene in tali circostanze.
Se sono costruiti in un modo appropriato, gli esperimenti comportamentali sono dei potenti fattori di cambiamento cognitivo ed emotivo.

Promemoria o coping cards

I promemoria sono dei bigliettini su cui il paziente e il terapeuta scrivono le strategie cognitive e comportamentali che il paziente dovrebbe mettere in atto durante la situazione problematica. Il paziente viene incoraggiato dal terapeuta a tenere i promemoria sempre con sé (es. in tasca, nel portafogli) e ad utilizzarli regolarmente (es. due volte al giorno) o al bisogno.

Esposizione graduale

L’esposizione graduale è una tecnica che consiste nel programmare la modificazione di un comportamento disfunzionale facendo un piccolo passo alla volta. Il terapeuta cognitivista chiede al paziente di scomporre l’obiettivo (il comportamento problematico) in sotto-obiettivi di difficoltà minore e di esporsi a questi, ossia di affrontarli, in modo graduale, dal più facile al più difficile. Prendiamo come esempio una persona con disturbo di panico che, apprese le tecniche di gestione dell’ansia, ha come obiettivo terapeutico quello di riprendere la metropolitana per andare al lavoro. Il terapeuta inviterà il paziente a scomporre questo obiettivo in piccoli passi più facilmente raggiungibili e a realizzarli gradatamente: il primo giorno, ad esempio, il paziente andrà sulla banchina della metropolitana senza prendere il mezzo, il secondo giorno prenderà la metropolitana per una fermata, il terzo giorno per due fermate e così via.

I compiti a casa o homework

I compiti a casa sono una parte importante della terapia cognitiva. Attraverso di essi il terapeuta cerca di estendere le opportunità di regolazione cognitiva, emotiva e comportamentale a tutta la settimana. Esempi di compiti a casa sono l’auto-monitoraraggio dei pensieri automatici negativi attraverso la tecnica dell’ABC e gli esperimenti comportamentali.
Non tutti i pazienti, però, eseguono i compiti a casa. Gli studi scientifici affermano che i pazienti che si adoperano nei compiti a casa presentano maggiori progressi rispetto a quelli che non lo fanno.

Fonte: terzocentro.it

 

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