La Sindrome di Stoccolma: Quando amare il proprio carnefice è possibile

sindrome-di-stoccolmaIn molti casi di cronaca, tra cui quello di Natasha Kampush, di Elizabeth Smart e di Giovanna Amati si è parlato della Sindrome di Stoccolma. Vediamo meglio di cosa si tratta.

L’uso di questa espressione è piuttosto recente e deve il suo nome al furto alla “Kreditbanken” di Stoccolma del 1973 durante il quale alcuni dipendenti della banca furono tenuti in ostaggio dai rapinatori per sei giorni. Le vittime, in seguito, provarono una forma di attaccamento emotivo verso i banditi fino a giungere al punto, una volta liberati, di prenderne le difese e richiedere per loro la clemenza alle autorità. Il termine fu coniato dal criminologo e psicologo Nils Bejerot, che aiutò la polizia durante la rapina.

La peculiarità di questa sindrome consiste nel fatto che la condizione mentale che viene a formarsi può portare all’ammirazione e persino all’innamoramento nei confronti di rapitori, carnefici o aguzzini. Inoltre, viene spesso riferita anche a situazioni di violenza sulle donne, abusi su minori e sopravvissuti a campi di sterminio. Nonostante le sue caratteristiche e le cause che la scatenano, essa non viene considerata una patologia clinica.

Il meccanismo che innesca tale sindrome dipende dal tempo che i soggetti coinvolti hanno passato insieme: più è lungo, più è facile che nascano sentimenti di affetto, amore o di semplice solidarietà. Questo accade perché la vittima inizia a sentire la propria vita direttamente dipendente da un altro (il carnefice appunto) e sviluppa un meccanismo psicologico di totale attaccamento verso di lui, credendo così di evitare la morte.

Sono state date diverse spiegazioni per capire la paradossale condizione rappresentata dalla sindrome di Stoccolma e quella maggiormente accreditata spiega che esisterebbero dei meccanismi mentali inconsci guidati dall’istinto di sopravvivenza della vittima. Nella fase iniziale la persona rapita sperimenta uno stato di confusione e di terrore per la situazione che gli viene imposta. Superato il trauma iniziale, cerca un modo per resistere alla situazione che sta subendo, sviluppando un meccanismo psicologico di totale attaccamento verso il proprio carnefice. Per di più, la vittima si identifica con il carnefice comprendendo le motivazioni per cui l’aguzzino agisce, arrivando persino a tollerare senza troppa fatica le sue violenze, in quanto mosse da solide ragioni.

Pertanto, riassumendo, si può dire che tale sindrome si riconosce per la presenza di:

  • sentimenti positivi delle vittime verso i loro aguzzini;
  • sentimenti negativi nei confronti di chi sostiene che l’aguzzino sia tale.

In conclusione, la Sindrome di Stoccolma è frutto dell’istinto di sopravvivenza delle persone, non ordinaria follia, come molti potrebbero credere ed essa viene trattata e raccontata anche in molti libri (Cime tempestose, La Gerusalemme liberata, ecc), film e cartoni (Sesso e fuga con l’ostaggio, Un mondo perfetto, La bella e la bestia, ecc).

Io ti perdono per quello che hai fatto a me. Io amo il mio carnefice.. (tratto da Cime Tempestose)

 

Scritto dalla dott.ssa Elena Parise, psicologa

 

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