Violenza di coppia: perché le donne non se ne vanno

violenza-di-coppiaQuante volte leggendo la cronaca nera si trova una storia di “femminicidio”, di un delitto la cui trama è sempre la stessa: una donna uccisa in modo violento magari con decine di coltellate o con più colpi di pistola; la donna viene colta in casa o in mezzo ad una strada in pieno giorno sotto gli occhi di tutti; la donna è una donna qualsiasi, giovane o sulla cinquantina, casalinga o impiegata, bella oppure anonima; l’assassino è solitamente il compagno o l’ex compagno lasciato da poco tempo o anche da anni. Lui gira con un’arma in tasca, l’ha già minacciata varie volte e non ha mai smesso di tormentarla.

Oltre al turbamento per il delitto sorge immancabilmente la domanda del come e del perché sia potuto accadere un tale crimine e soprattutto perché non sia stato possibile evitarlo.

La tipologia di crimine appena descritto non avviene improvvisamente, esso rappresenta solo  l’epilogo di un lungo processo di maltrattamento e abuso di cui invece si conosce molto poco. Si tratta del fenomeno della “violenza di coppia”.

Con questa formula si indica una modalità di relazione fondata sul controllo e sulla violenza sia psicologica che fisica. Su tale base esistono differenti metodi di aggressione in funzione del contesto e del profilo  psicologico dell’aggressore. Violenza psicologica (insieme di atteggiamenti e discorsi finalizzati a denigrare e rifiutare il modo di essere di un’altra persona) e violenza fisica sono legate: nessun uomo si mette a picchiare la compagna improvvisamente in una momentanea crisi di follia. La maggior parte dei compagni violenti innescano un processo finalizzato al controllo e dominio della compagna sin dall’inizio della loro relazione, e seguono, come uno schema, una messa in atto di comportamenti e approcci che si ripete e si rafforza col tempo, fino ad arrivare ad ottenere la sottomissione, il totale annullamento della compagna, o  nei casi più estremi, la sua morte.

Si comincia con il controllo su tutto, ossia dal modo di vestire, dai posti da frequentare e dal tipo di  lavoro, per imporre poi un determinato modo di fare. Subentra in seguito l’isolamento dagli amici, dalla famiglia di origine, da qualsiasi vita sociale. La vita della donna deve ruotare essenzialmente intorno al compagno. Spesso capita che sia la donna stessa a rinchiudersi per evitare le continue pressioni psicologiche. La gelosia diventa patologica con un sospetto continuo e con infondate attribuzioni di intenzioni. Al momento in cui la donna è allontanata dai suoi cari e soprattutto da chi è più critico verso un tale atteggiamento, iniziano le critiche avvilenti e le umiliazioni. La sistematica denigrazione, gli insulti, le intimidazioni, le minacce vanno a colpire l’autostima, il valore personale, vanno a creare una frattura gravissima nella identità della donna per cui finirà per fare proprio il disprezzo e non si sentirà più degna di essere amata.

La violenza fisica, invece il più delle volte interviene solo se la donna resiste alla violenza psicologica, ossia quando l’uomo non è riuscito a controllare a sufficienza una donna che mostra la sua indipendenza: quando reagisce alle offese, quando non rinuncia a incontrare i familiari o a cercarsi un lavoro, quando minaccia di andarsene.

Ma la domanda principale resta: perché certe donne sopportano tanto a lungo queste situazioni di violenza? Oppure, perché di fronte a chiari segni di violenza fisica sul corpo, negano l’aggressione, raccontano assurde menzogne su strane cadute e arrivano quindi a difendere il marito che le ha riempite di botte?

Nonostante alcuni psicoanalisti abbiamo parlato di donne che soffrono una forma sociale di masochismo per cui scelgono partner violenti perché provano una sensazione di piacere nel farsi picchiare, controllare e umiliare dal proprio uomo, la realtà è molto più complicata e rivela che all’interno di queste coppie le donne non rispecchiano nessun profilo psicologico particolare, e anzi, non vi è nessuna ricerca di una storia d’amore connotata dalla violenza. Forse a volte si può riscontrare nell’età infantile una storia familiare ad alta conflittualità o di violenza agita dal padre ai danni della madre e dei figli, quindi in questi casi è corretto parlare di fattori di vulnerabilità, ma anche questo non è sufficiente a spiegare il fenomeno.

La risposta alla nostra domanda sta nel processo di plagio.

L’individuo potenzialmente violento è anche, per forza di cose, un abile manipolatore ed è in grado di scoprire nel partner il punto debole che consente l’”aggancio”, ossia l’innesco del processo di plagio. Il tutto comincia con un attento corteggiamento, lui rappresenta il “principe azzurro”, rispecchia perfettamente i suoi sogni e i suoi istinti protettivi, si presenta come la vittima di un’infanzia infelice o di un divorzio sfortunato. La seduzione è necessaria e dura fintanto che la relazione viene messa in piedi. Con la convivenza o il matrimonio si innescano invece altri meccanismi: la seduzione, i comportamenti perfetti si alternano a  momenti di microviolenza, che si manifesta, imprevedibilmente con serie di discorsi spregiativi, piccoli attacchi verbali. Fino a che tale alternanza imprevedibile di micro aggressività verbale e gentilezza si mantiene come uno schema subdolo, la donna resta confusa, e lentamente affievolisce la resistenza e la capacità di reagire. Avverte disagio ma si dice che probabilmente sta esagerando e che la sua percezione di ciò che sta accadendo è errata, inizia a dubitare di ciò che prova. Il dominio e l’estrema gelosia vengono interpretate come forme di amore.

A poco a poco queste donne perdono il loro spirito critico e cominciano ad “abituarsi” , e ad abbassare sempre più il loro limite del tollerabile. Altrettanto progressivamente, il compagno passerà da certi gesti o atteggiamenti non apertamente ostili a una violenza identificabile, e la donna che subisce continuerà a trovare  tutto ciò sopportabile, gli attacchi saranno sempre più gravi e frequenti e la donna più insicura, isolata, distrutta nell’autostima, confusa, spaventata e sempre meno capace di prendere una decisione.

Queste donne arrivano a vivere la violenza secondo un cammino lento e subdolo e a non averne la consapevolezza.

Nei casi in cui la donna invece pone resistenza o minaccia di volersene andare, la violenza verbale diventa fisica. Lentamente sottomessa e plagiata la donna è bloccata nel crescere e nel capire, è ridotta ad essere un oggetto senza una propria volontà, è incapace quindi di ribellarsi, condannare l’abuso che subisce e anzi arriva a proteggere il suo aggressore e ad assolverlo da qualunque violenza.

Come dice Leonard Shengold sui bambini vittime di abusi sessuali: “la loro anima diventa schiava dell’altro“.

 

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