Obesity Day e Disturbi del Comportamento Alimentare. La parola all’esperto.

obesitàL’Obesity Day è una “giornata per il paziente” durante la quale oltre 200 centri ADI sono a disposizione per erogare gratuitamente interventi di informazione/educazione riguardanti il tema della giornata.
A tal proposito, ho voluto approfondire la tematica dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) intervistando uno dei massimi esperti italiani in materia, il Dr. Emanuel Mian, Psicologo Psicoterapeuta Referente per l’Istituto Nazionale Chirurgia dell’Obesità’ INCO (Milano), Responsabile dell’U.O. Disturbi del Comportamento Alimentare- presso Salus Alpe Adria (Udine) e SANIMED (Monza).

Dottor Mian, può spiegarci cosa sono e quali sono i disturbi alimentari?

Sono principalmente psicopatologie che hanno nel comportamento verso cibo e corpo il loro principale sintomo. Dobbiamo guardarli, però, come la punta di un iceberg. Se una persona non si alimenta o lo fa in maniera caotica è sempre dato da qualcosa che, prima o poi, si deve maneggiare e fronteggiare (emozioni, situazioni, eventi in grado di provocare stress). Queste problematiche investono sia l’immagine corporea, cioè l’immagine del corpo che abbiamo nella nostra mente, sia l’autostima, ovvero il valore che diamo a noi stessi.

Esse si manifestano su tre fronti:

  • sul piano fisico,
  • sulle modalità di utilizzo degli alimenti,
  • sul modo di rapportarsi con gli altri e noi stessi.

Un  rapporto “difficile” con il cibo può portare a:

  • comportamenti estremi di restrizione calorica (anoressia nervosa);
  • selezione degli alimenti (ortoressia nervosa);
  • utilizzo di un compenso dopo episodi di iperalimentazione o abbuffata (bulimia nervosa);
  • utilizzo di grandi quantità di cibo al fine di cacciare o sfuggire dalla gestione di emozioni o eventi stressanti (binge eating disorder).

Ovviamente, i disturbi appena nominati hanno dei sottotipi ulteriori, ma almeno i nomi che li definiscono per un inquadramento clinico sono principalmente questi: anoressia nervosa, bulimia nervosa e binge eating (o sindrome da alimentazione incontrollata).

Qual è l’età di insorgenza?

In passato era l’adolescenza il momento più critico in cui si dipanava un disturbo del comportamento alimentare ed era il momento in cui era più comune che i familiari portassero le proprie figlie all’attenzione di noi clinici. Questo accadeva soprattutto nei casi di persone affette da anoressia nervosa o da obesità in età dello sviluppo.

L’adolescenza rappresenta un momento difficile per la maggioranza dei giovani, ma per alcuni lo è notevolmente di più dato che in avvengono numerosi cambiamenti, sia fisici sia psicologici. Inoltre, se in questo periodo sono presenti dinamiche familiari particolari o eventi stressanti (lutti, difficoltà di inserimento scolastico o casi estremi come violenze ed abusi) e la dieta viene vista- consapevolmente o meno- come una possibile soluzione, ecco che  abbiamo alcuni dei fattori che possono contribuire e facilitare l’insorgenza di disturbi alimentari.

Mediamente l’esordio è dagli 11 ai 25 anni per anoressia e bulimia nervosa.

Negli ultimi anni però, ho notato casi sempre più precoci in cui i sintomi di malnutrizione, denutrizione o iperalimentazione si insinuano nella vita quotidiana dei ragazzi e della famiglia. Fortunatamente, le richieste di intervento da parte dei medici di base o più spesso delle famiglie avvengono prima rispetto al passato.

Questo non solo per i quadri più evidenti come nell’anoressia e obesità, ma anche riguardo gli altri disturbi del comportamento alimentare. Per quanto riguarda la bulimia nervosa, ad esempio, mentre in passato giungevano ragazze che volevano risolvere la loro problematica con una età di ingresso in terapia fra i 24-26 anni, ora l’età è scesa a 18 anni in media. Segno, questo, di una sensibilizzazione riguardo queste patologie da parte di insegnanti, medici di base, genitori e altre diverse professionalità. I giovani che soffrono di un disturbo alimentare non sempre riconoscono di avere un disagio che ha bisogno di cure.

Tuttavia, se l’età d’insorgenza diminuisce, non è detto che vi sia una consapevolezza del problema tale da motivare la persona che soffre a comunicare il proprio disagio e a cercare – sperando di trovare- un adeguato percorso di cura.

emanuel mianE’ vero che molto colpiti sono anche gli uomini, oltre alle donne?

Su 10 persone con un disturbo alimentare, il rapporto è di circa 8-9 donne per ogni 1-2 uomini riferito ad anoressia e bulimia nervosa, mentre è di quasi 6-7 donne ogni 3-4 uomini per la sindrome da alimentazione incontrollata. Noto, nella mia pratica clinica, specie per la bulimia nervosa ed il binge eating, un lieve aumento del numero di persone di sesso maschile che giungono alla mia attenzione, la cui età si pone intorno ai 30-32 anni. Questo ovviamente è un dato riferibile rispetto ai casi che mi è dato vedere nei centri dove opero e che potrebbe non essere riscontrabile in altre regioni del centro e sud Italia, in cui viene ancora percepito questo problema come prettamente relativo al cosiddetto, ed erroneamente definito, “sesso debole”.

Un motivo, questo, che forse spiegherebbe anche la difficoltà per gli uomini,in passato, a chiedere aiuto allo psicologo per disturbi di questo tipo.


Quali sono i campanelli d’allarme?

Le persone con un disturbo del comportamento alimentare, nella fase iniziale -tranne casi particolari- sono in sintonia con il problema e tendono difficilmente a vederlo come tale rendendo difficili, se non vani, i tentativi di cura e presa di coscienza. In sintesi, nella fase iniziale -detta anche “luna di miele con il disturbo”, è difficile che la persona voglia curarsi e che riconosca di avere un problema.

I familiari e gli amici, però, possono notare dei primi campanelli d’allarme ed eventualmente comprendere anche le dinamiche e la ripetitività di tali comportamenti. Una severa perdita delle proprie forme corporee, le preoccupazioni sul proprio corpo, il timore importante di ingrassare sono un primo importante campanello.

Un aumento di peso importante laddove non siano presenti cause riconducibili ad un’alimentazione eccessiva e/o disordinata per qualita’ dei cibi, il frazionamento, i rituali di conteggio o di divisione del cibo che appaiano ritualistici o anomali (ad es. preoccuparsi se i fusilli nel piatto sono pari anzichè dispari, preoccuparsi se il loro numero è di 30 anzichè 31 ecc.) sono dei parametri fondamentali da valutare.

Evidenti e inspiegabili cambiamenti nelle abitudini alimentari, non solo riguardo i comportamenti sopra descritti, ma anche nei confronti dello “stare insieme” a tavola, sia in famiglia sia con gli amici, possono essere di interesse anche se non direttamente riconducibili ad un DCA.

Talvolta, ad esempio, in fase di restrizione si tende a uscire di casa per raggiungere gli amici o i familiari al ristorante dicendo che si è già mangiato: questo può impedire di fruire di un pasto importante quale la cena e costringe il soggetto a vivere questo e gli altri momenti conviviali come un disagio da evitare.

Una costante che si manifesta è, inoltre, il desiderio di mettersi a dieta anche quando si ha un peso adeguato per età e altezza e la percezione che il peso perduto “non basti mai”.

Importanti sono anche i comportamenti eccessivi di controllo del peso sulla bilancia o delle proprie forme allo specchio, così come l’evitamento assoluto di questi due strumenti(tecnicamente, il body checking e il body avoidance). Anche il desiderio che “si vedano le ossa” dello sterno o della cresta iliaca può rappresentare un segnale di non poco conto.

Ovviamente questi campanelli d’allarme devono essere valutati con il medico di base e con uno psicologo con esperienza nei DCA insieme alla persona che ne soffre e devono essere così pervasivi e presenti nella sua vita da impedirle di vivere serenamente e in salute.

disturbi del comportamento alimentareUltimamente molte ricerche parlano dell’insorgenza dei disturbi alimentari in età avanzata. Cosa ci può dire a riguardo?

Più che di insorgenza, direi che in alcuni casi ci sono un tardivo riconoscimento del problema, un tardivo desiderio di cura o ancora una cronicizzazione dello stesso a causa di diagnosi e trattamenti non adeguati.

Inoltre, in età avanzata possono essere presenti eventi della vita importanti ( ad es.lutti, abusi e violenze di vario tipo tanto) che potrebbero portare a disagi che trovano il proprio sintomo nel comportamento alimentare disfunzionale.

Ci sono casi anche di anoressia in età avanzata ma è importante notare che, in molti di essi, il disturbo dell’immagine corporea, se non presente, e’ mitigato rispetto ad un adolescente. Questo pone al clinico nuove sfide al fine di riconoscere gli altri meccanismi di funzionamento psicologico e di mantenimento del disturbo del paziente in età avanzata: il lavoro del clinico e’ diverso rispetto ad un soggetto preadolescente o adolescente.

I disturbi alimentari di cui si parla molto sono l’anoressia e la bulimia, ma in realtà anche l’obesità è un disturbo alimentare molto diffuso….

L’obesità e’ una dinamica multifattoriale che ritengo abbia nel comportamento alimentare un proprio sintomo. Finora è stata posta molta attenzione sull’aspetto puramente nutrizionale piuttosto che su quello psicologico.

E’ ormai assodato che l’approccio psiconutrizionale permetta migliori risultati anche riguardo il mantenimento del calo ponderale nel medio periodo:  sono importanti anche il “come, dove e perchè’” ci si alimenta.

Nel paziente obeso devono essere modificate, se deficitari, sia il senso di autoefficacia, le attitudini, la motivazione e l’autostima sia la gestione delle emozioni negative e le risorse emotive/personali attivabili.

Senza entrare nello specifico, solo il 3%-5% dei pazienti obesi -in Italia rappresentano circa il 9-10% della popolazione- lo è per cause mediche, cioè non riconducibili ad un comportamento alimentare problematico.

Sebbene non vi siano ancora dati precisi, oltre il 20% dei pazienti obesi che richiedono un trattamento per la cura soffre di un binge eating contro l’1%-4% degli obesi in generale.

Negli altri, potrebbero essere presenti quadri sub-clinici o comportamenti particolari quali  l’iperfagia a pranzo (gorging), il frequente piluccamento (grignotage, nibbling, grazing), l’uso eccessivo degli spuntini fra i pasti (snacking) 
e i desideri bramosi generali (craving) o selettivi verso i dolci  (sweet eating) o le sindromi notturne di iperalimentazione quali la night eating syndrome o il nocturnal eating.

Non tutti i pazienti obesi soffrono di un’assunzione incontrollata di cibo.

E’ importante ricordare che la figura dello psicologo nella cura dell’obesità è ormai irrinunciabile: numerosi sono gli episodi di teasing (presa in giro) durante l’infanzia, di discriminazione o stigma sociale verso gli obesi in età adulta. Questi fattori possono peggiorare, o favorire in età evolutiva, lo sviluppo di un quadro di autostima deficitaria.

La figura dello psicologo è inoltre importante per altri aspetti: ad esempio quando il paziente obeso ha l’impossibilità di fermarsi e assume caoticamente e contemporaneamente cibi dolci e salati fino ad una sensazione di estrema pienezza -come negli episodi di binge eating; nella gestione quotidiana dell’assunzione del cibo; per il rapporto che il paziente ha con  il proprio corpo e con gli altri.

Un quadro, quello dell’obesità, che meriterebbe una trattazione più approfondita per i risvolti psicologici che racchiude che non sempre sono legati unicamente al comportamento alimentare.

obesity-dayAlcuni sottovalutano l’importanza della chirurgia bariatrica: penso ad un intervento del dottor. Raffaele Morelli durante una puntata di Domenica Live in cui sostiene l’inutilità della chirurgia per pazienti obesi (al quale è seguito un ulteriore video). Lei, invece, cosa ne pensa?

Inizio subito dicendole che sono fortemente critico riguardo la cattiva informazione sui disturbi alimentari e l’obesità. I nomi di chi si occupa di pazienti con disturbi alimentari e del peso nel nostro Paese con dedizione, costanza e metodo scientifico, alla fine sono circa una decina.

Morelli non è fra questi.

Riguardo la puntata di cui lei parla, viene citata la chirurgia bariatrica come una chirurgia di cui vergognarsi che porta ad una mortalità certa e che dovrebbe essere usata solo in casi eccezionali.

A parte che la mortalità di tutti gli interventi eseguiti solitamente è inferiore, ad esempio, a quella della chirurgia toracica, sarebbe utile capire quali siano, per il collega, i casi eccezionali. Spesso le persone obese hanno una storia lunghissima di diete precedenti, trattamenti dannosi o inconcludenti e patologie associate importanti quali il diabete, l’ ipertensione  arteriosa e problemi nella deambulazione, che con il calo ponderale migliorano notevolmente o possono migliorare la qualità di vita seriamente compromessa.

Nella puntata poi mi sembra di ricordare che si parli dell’utilizzo del sondino che non è di certo un intervento di chirurgia bariatrica -come erroneamente asserito- mentre lo sono, ad esempio il pallone intragastrico, il bendaggio gastrico, la sleeve gastrectomy ed il bypass gastrico (tanto per citarne alcuni che vengono svolti di norma all’Istituto Nazionale di Chirurgia dell’Obesità di Milano dall’equipe del dr. Giovanelli che, annualmente, opera 500 pazienti in chirurgia bariatrica.)

Non sapere che il sondino al momento non fa parte di alcuna linea guida per il sovrappeso e l’obesità lo reputo manchevole così come il non rispettare chi sceglie di risolvere il proprio problema affidandosi alla terapia chirurgica. Persone che, come detto prima, hanno percorso prima tutte le strade possibili, e che vengono seguite in regime multidisciplinare, cioè dal chirurgo, psicologo-psichiatra e nutrizionista, nella fase iniziale e durante le visite post-operatorie (follow-up) con protocolli ben definiti e senza lasciare nulla al caso.

Consiglio, e su questo invito alla prudenza quasi quanto Morelli, di affidarsi unicamente a centri per chirurgia dell’obesità che sin dal primo incontro di accoglimento prevedano la figura dello psicologo oltre che della dietista, per tutte le fasi delle cure e valutazioni. Un approccio unicamente chirurgico, oltre ad essere anacronistico vista l’ampia ricerca scientifica che corrobora quanto asserisco, non rispetterebbe il bisogno di sostegno durante i cambiamenti che un intervento in chirurgia bariatrica mira a promuovere.

Per quanto riguarda, in generale, i disturbi alimentari, quali sono i trattamenti più efficaci? Come si interviene con i pazienti?

L’approccio a queste problematiche deve avvenire in ambito multidisciplinare: la problematica deve essere affrontata seguendo il paziente sotto l’aspetto psicologico e nutrizionale e, nei casi che lo richiedano, psicofarmacologico.

Infatti in questo tipo di disturbi, dove sono maggiori le ossessività verso cibo e corpo, una dieta che preveda regole ferree o una grammatura degli alimenti potrebbe peggiorare il quadro anziché migliorarlo.

Ecco perchè la dieta, da sola, non funziona.

I trattamenti più efficaci sotto l’aspetto psicoterapeutico sono quelli ad indirizzo cognitivo-comportamentale affiancati, eventualmente, dalla terapia familiare nel caso di soggetti preadolescenti o adolescenti.

Consiglio di recarsi da professionisti che abbiano esperienza specifica riguardo i disturbi del comportamento alimentare: il terapeuta dovrebbe avere dimestichezza non solo riguardo i meccanismi psicologici, ma anche quelli relativi alla nutrizione ed all’immagine corporea, caratteristiche imprescindibili per un percorso di successo.

Coloro che soffrono di disturbi alimentari, in genere, sono restii nel chiedere aiuto. Qual è il consiglio che Lei sente di dare agli amici, alle famiglie e a coloro che si accorgono che un loro caro sta sviluppando un disturbo simile?

Solo 1 su 3 dei sofferenti di anoressia nervosa richiede delle cure mentre solo 1 su 17 di coloro con bulimia nervosa si reca presso un professionista per un supporto.

Ancora troppo pochi.

I consigli per gli amici e le famiglie sono molto semplici quanto efficaci, ricordando però che questi disturbi non si possono curare da soli: ascoltare, comunicare e accogliere senza ricattare o minacciare chi sta soffrendo.

Il disturbo nasce come strategia elementare, spesso estremamente rigida, per risolvere un disagio. Un disagio che è difficile da riconoscere e gestire e soprattutto da comunicare agli altri e a se stessi. Reputo molto più terapeutico un “come stai” o “ti va di fare due chiacchiere” piuttosto che un inquisitorio “hai mangiato?”.

Il tutto, però, rispettando anche i tempi ed i modi di chi sta soffrendo. Anche i comportamenti più difficili da comprendere hanno un loro “perchè”, ma è sul “come” che si dovrebbe giungere insieme alla persona che vogliamo aiutare.

Dal “perchè” e “come” inizia il lavoro terapeutico.

 

Scritto da Valentina Costanzo.

 

Per approfondire il tema:

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