Il termine resilienza deriva dal latino resilire che significa “saltare indietro, rimbalzare”. E’ un concetto proprio di molte discipline: in informatica, ad esempio, si tratta della capacità di un sistema di adattarsi all’usura, la qualità che gli permette di continuare a funzionare a dispetto di anomalie legate ai difetti di uno o più dei suoi elementi costitutivi (Malaguti, 2005); in fisica, riguarda la proprietà che hanno i materiali di deformarsi, ma di non spezzarsi rispetto alle aggressioni che subiscono dall’esterno, la capacità di un corpo fisico di assorbire gli urti ripristinando, rapidamente, la forma originaria. E’ il contrario della fragilità; in biologia riguarda la capacità di un tessuto di autoripararsi. Il vocabolo è stato esteso di recente anche in geriatria, rispetto a quegli anziani gravemente malati che, però, reagiscono positivamente e in modo inatteso alle cure tradizionali.
Analogamente, la resilienza in psicologia è quella caratteristica che ci rende capaci di reagire ai colpi della vita, di adattarci in maniera positiva agli eventi traumatici cui inevitabilmente, nel corso della nostra esistenza, andiamo incontro.
Non è una semplice resistenza passiva: essa contiene in sé la dinamicità e la proattività, che si concretizzano nel fronteggiare e ricostruire, è la “forza d’animo” come la chiamavano Platone, Epitteto e Marco Aurelio.
E’ la capacità di prendere atto di ciò che ci sta accadendo, senza lasciarci travolgere.
Se una situazione, infatti, non può essere cambiata, è bene prepararsi a gestirla, ricostruendo ciò che è possibile, nel rispetto dei propri valori e quindi di sè stessi, lasciando da parte gli “avrei potuto” e gli “avrei dovuto”.
Le persone forti sono quelle che sanno trasformare le situazioni negative in situazioni di apprendimento, sonoquelle che hanno ristrutturato ciò che è accaduto loro, attribuendo un significato nuovo e positivo, comprendendo e accettando la sofferenza vissuta. Infatti, grazie al dolore che a volte può raggiungerci, è possibile imparare ad affrontare diversamente le difficoltà future.
La resilienza è collegata all’istinto di sopravvivenza e comporta la capacità di sviluppare strategie adeguate per non soccombere. Non è guardare alla vita in modo ingenuamente ottimistico, ma è la capacità di avere una visione realistica cercando di prevedere i cambiamenti, evitando di ripiegarsi eccessivamente su sé stessi e sul proprio mondo interiore e cercando quel distacco adeguato che consente di muoversi lucidamente verso l’obiettivo auspicato.
La capacità di fronteggiare gli eventi negativi, dipende, dunque, oltre che da un “attaccamento” positivo con le figure significative della prima infanzia, anche dal modo con cui guardiamo alle cose e dalle strategie che utilizziamo: la resilienza si innesca gradualmente sulla base delle esperienze che compiamo, delle paure e delle frustrazioni che riusciamo a superare. Per fare ciò è necessario utilizzare strategie cognitive che attraverso il ragionamento, la ripetizione, l’abitudine, ci aiutano a spostare il focus della nostra attenzione dallo stato emotivo interno, all’obiettivo che ci siamo prefissati.
Resilienti non si nasce, ma lo si può diventare, nel corso della vita, nell’interazione dell’individuo con l’ambiente.
In che modo ?
- Innanzitutto occorre creare e mantenere attorno a sé una rete di relazioni affettive diversificate che sappia sostenere la persona nei momenti di difficoltà, alimentando incoraggiamento e rassicurazione; la creazione di rapporti interpersonali significativi è un “compito evolutivo” che riguarda costantemente l’intero “ciclo di vita” dell’ individuo;
- cercare di strutturare un progetto di vita, essere motivati al conseguimento di obiettivi realistici e compiere ogni giorno qualcosa che sempre più ci avvicini a quanto prefissato. Avere, quindi, immaginazione ed interessi;
- adottare una visione di vita ottimistica, cercando di vedere le difficoltà della vita, come transitorie. Sul momento si può avere l’impressione di non vedere alcuna via d’uscita, ma attraverso la nostra forza interiore si può credere che è possibile cambiare le cose, senza subirle passivamente e approdare così verso ciò che si desidera. Ciò riguarda la nostra autostima e la fiducia sul controllo della propria vita e dell’ambiente circostante. Un’elevata autostima è un fattore protettivo da ansia e depressione, fa riferimento ad una valutazione positiva di sé ed è salutare per l’equilibrio psicofisico;
- fidarsi del proprio sesto senso o istinto ;
- avere cura di sé stessi, osservando consapevolmente le nostre reali esigenze e i nostri sentimenti, dedicandoci ad attività per le quali nutriamo una passione;
- saper scorgere in ogni difficoltà delle alternative : queste ci sono sempre;
- pensare di poter esercitare un’ influenza sull’ambiente e sugli avvenimenti esterni : non vedersi come vittime di un destino avverso, ma come individui capaci di ribaltare la situazione;
- percepire i cambiamenti come sfida, opportunità di crescita interiore e non come minaccia
- aiutare gli altri;
- nutrire la speranza in un futuro migliore volto a sminuire le problematiche e a cercar di trovare sempre una soluzione.
- avere senso dell’umorismo.
Tutto ciò comporta la capacità di uscire da quella “zona di comfort ” un po’ infantile e onnipotente allo stesso tempo, all’interno della quale si crede che nulla di brutto potrà mai accaderci ed entrare invece nell’ottica che il dolore e la sofferenza sperimentati possano essere superati, traendo profitto dalla ferita di cui siamo portatori.
Per approfondire il tema:
Vuoi lasciare un commento?