Il Redditest, rilasciato sul sito dell’Agenzia delle Entrate a fine novembre, ha amplificato l’ansia da Fisco – ansia che in realtà già da anni gli italiani percepiscono in modo sempre più pressante – andando ad amplificare quello che già da tempo è soprannominato “Grande Fratello Fiscale“.
Ma è normale che il Redditest (e più in generale questo GF fiscale) generi ansia anche nei contribuenti onesti?
La risposta è sì e in parte la spiegazione può essere ritrovata negli effetti dovuti alla percezione della violazione della nostra privacy. Se è vero infatti che il Redditest è cosa recente e dunque non vi sono ancora studi specifici che ne spieghino gli effetti sulla salute psicofisica, è vero però che esistono studi che hanno indagato più genericamente cosa accade nella nostra mente quando ci sentiamo “sotto controllo” e subiamo dunque una forte violazione della privacy.
In Finlandia ad esempio è stato condotto uno studio scientifico – Helsinki Privacy Experiment – per capire cosa ci succede se veniamo spiati giorno e notte (computer, movimenti, telefonate, ecc.), valutando le condizioni psicologiche dei partecipanti attraverso un questionario a 6 e 12 mesi dall’inizio dello studio.
I 10 soggetti che hanno preso parte allo studio sono stati reclutati attraverso un annuncio e hanno dunque deciso volontariamente di partecipare, accettando di essere chiusi in una casa (in vero e proprio stile del ben noto Grande Fratello televisivo) e spiati in ogni loro mossa, accettando dunque di fatto di subire una vera e propria violazione della loro privacy.
Quel che è emerso è che tutti gli “osservati” hanno sviluppato in brevissimo tempo ansia, preoccupazione, irritazione e, alla fine, perfino rabbia. La massima preoccupazione per la propria privacy ha raggiunto il picco nel giro di tre mesi, dopodiché i partecipanti hanno messo a punto strategie comportamentali per avere una maggiore sensazione di controllo della situazione, ma questo li ha resi più fragili: di fronte a eventi inattesi, ad esempio, talvolta sono stati incapaci di mettere in atto comportamenti strategici utili. Alcuni di loro, non tollerando il forte stress derivato dalla costante violazione della propria privacy, ha deciso di abbandonare l’esperimento già dopo i primi mesi.
I risultati ottenuti in realtà potrebbero essere alquanto ottimistici: i volontari infatti avevano scelto autonomamente di partecipare all’esperimento rispondendo ad un annuncio e, nonostante vi fosse la certezza di una fine e ci si trovasse in una situazione sperimentale, alcuni di loro non hanno retto alla pressione della situazione. Come sarebbero stati i risultati se i soggetti fossero stati realmente obbligati ad essere spiati? Come vivremmo una violazione costante della nostra privacy se, come nel famoso libro di Orwell 1984, fossimo costretti a subirla quotidianamente nella vita reale di tutti i giorni?
Grazie a Dio il fisco in Italia, per quanto sia un Grande Fratello spiacevole e invadente e voglia sapere tutto dei nostri guadagni e delle nostre spese, con scontrini e fatture, non raggiunge certo i livelli di “violazione della privacy” del Grande Fratello di Orwell. Ma è sufficientemente invasivo da produrre problematiche psicofisiche nei contribuenti.
Un’indagine svolta dai sociologi del team KRLS Network of Business Ethics per conto dell’Associazione dei contribuenti italiani ha evidenziato già da alcuni anni proprio questo preoccupante aspetto: il “mal di fisco”, così ribattezzato, presenta i sintomi di una comune influenza stagionale, quindi il contribuente sarà soggetto a forti mal di testa, tosse, muscoli doloranti e intestino irritabile oltre ad un’incontrollabile ansia che colpisce a ridosso delle scadenze erariali.
Il “malessere” è dovuto al bombardamento psicologico a base di spot in favore della lottaall’evasione (come quello riportato qui sopra), che vengono percepiti dai contribuenti come una messa in dubbio circa la propria sincerità. Si sta malenon tanto per la consapevolezza di essere in una situazione illecita, quanto per timore di non avere tutto sotto controllo e per la possibilità che qualcosa sia involontariamente sfuggito e possa non essere in regola.
Ma perchè gli italiani hanno tutta questa paura tanto da sviluppare una vera e propria sindrome a base ansiosa?
“L’ansia di compilare il modello F24, l’ansia della cartella esattoriale, l’ansia dell’adempimento è anche figlia del fatto che, con l’attuale normativa, spesso l’errore formale paga più dell’errore sostanziale, ovvero andiamo a colpire le persone che hanno dimenticato una virgola e non siamo capaci di andare a colpire la vera evasione” (Giulio Tedeschi, partner Bernoni Grant Thornton)
Il Mal di Fisco colpisce a più livelli, tanto che dalla ricerca della KRLS Network of Business Ethics emerge che circa 8 italiani su 10 temono di essere potenziali destinatari di una cartella esattoriale, circa 6 su dieci hanno timore di poter perdere la propria abitazione a causa di problemi con l’Erario, mentre 3 su dieci sognano di emigrare negli Stati Uniti, perché in un anno c’è un solo appuntamento con il Fisco.
Ma negli Stati Uniti va davvero così tanto meglio? Dai dati non si direbbe.
Una ricerca di Donald Redelmeir dell’Università di Toronto, pubblicata sul Journal of the American Medical Association, ha analizzato i dati relativi agli ultimi 30 anni riguardanti gli incidenti stradali avvenuti nel “tax day”, ovvero il 15 aprile, ultima scadenza utile per pagare le tasse negli USA: il numero di incidenti mortali e’ in media del 6% più elevato rispetto ai giorni precedenti e successivi. Le cause sono soprattutto stress e mancanza di sonno, ma anche abuso di alcool o di altre sostanze illecite.
Come si spiega dunque questo aumento di incidenti mortali? I dati sono preoccupanti, soprattutto se si considera che gli incidenti stradali considerati dallo studio sono solo quelli “mortali”. La realtà dei fatti, che ingloba anche tutti quegli incidenti che fortunatamente hanno esito meno infausto, è nettamente più ampia.
Quel che è emerso dallo studio è che si instaurerebbe uno stato di tensione che compromette l’attenzione alla guida nel giorno critico. Questo spiega perché l’introduzione della tecnologia, come l’invio telematico della cartella esattoriale, non ha ridotto le preoccupanti statistiche.
Lo stress è senza dubbio determinante: un’indagine condotta a livello nazionale negli States ha evidenziato che nel 2011 il tax day è stato secondo, quanto a capacità di generare stress agli statunitensi, solo al giorno in cui un potente tornado si è abbattuto sulle regioni sud-orientali della nazione. Dunque, se è vero che gli statunitensi hanno una sola scadenza erariale annua, non è affatto vero che la loro realtà sia migliore di quella del Bel Paese. Se è vero infatti che in Italia l’ansia generata dal timore di non aver adempiuto correttamente alle richieste del Fisco sia molto forte, dovuta alla nota difficoltà di “difendersi” da un eventuale accertamento fiscale, negli States la cosa è ben peggiore e le conseguenze possono essere a dir poco devastanti.
Basta ricordarsi del celebre caso del gangster Al Capone, finito dietro le sbarre negli anni ’30 dopo svariati tentativi e indagini, proprio per “evasione fiscale”.
Vuoi lasciare un commento?