Per crescere autonomi e indipendenti, i bambini hanno bisogno sia di affetto e amore, sia di educazione e regole. Nonostante la famiglia di oggi sia orientata verso la trasmissione soprattutto del codice affettivo, questi due elementi non possono prescindere uno dall’altro per favorire la costruzione di un’adeguata personalità adulta.
Le regole sono, infatti, un pilastro importante nel delicato processo di crescita, nel rispetto di una civile convivenza, e si stabiliscono sin dalla primissima infanzia.
L’importanza delle regole: la metafora del fiume
Per introdurre il tema dell’importanza dei limiti e delle regole, iniziamo partendo da un’interessante metafora, il fiume: nel lungo percorso che lo porta al mare aperto, esso ha bisogno degli argini, se questi “non tengono”, straripa provocando disastri.
In altre parole, nostro figlio è come il fiume, per crescere ha bisogno che ci siano dei genitori (argini) che gli indichino regole e limiti, all’interno dei quali è libero di esercitarsi con la massima autonomia.
In questo modo, dopo alcuni anni e molte conquiste, sarà in grado di tuffarsi in piena sicurezza nel mare aperto, ovvero la vita adulta.
Acquisire delle regole serve quindi a diventare delle persone adulte autonome e indipendenti.
Ma come trasmettere le regole?
Nonostante non esistano ricette miracolose, ecco alcuni suggerimenti che possono aiutare noi genitori ad esercitare un’autorità equilibrata ed efficace.
- Essere coerenti e determinati
Ricordiamoci sempre che noi genitori rappresentiamo un modello educativo per i bambini e che loro impareranno per imitazione, pertanto non possiamo chiedere a nostro figlio di rispettare una regola che noi per primi disattendiamo.
Questo non significa essere rigidi, è fondamentale stabilire dei limiti chiari, ragionevoli e farli rispettare senza cedere alle pressioni, a volte estenuanti, dei figli.
- Esprimere le regole in positivo
Comunicare una regola in senso negativo, del tipo “non fare a botte con tuo fratello” fa concentrare in maniera involontaria l’attenzione su cosa non fare, piuttosto che su cosa fare. Vi è il rischio che questo tipo di divieti inneschino la dinamica della tentazione, ecco perché è preferibile esprimere una regola in positivo (es. “gioca con tuo fratello”).
- Condividere i limiti
E’ fondamentale che all’interno della coppia genitoriale, entrambi condividano lo stesso codice educativo e si mostrino solidali di fronte al figlio. Avere due metri e due misure se in apparenza pone il genitore “buono” in una situazione di vantaggio nella relazione, di fatto non aiuta il bambino, che trae solo confusione e sfiducia nei confronti di chi dovrebbe essere il suo modello di riferimento.
- Dare regole adeguate all’età
Un aspetto da non sottovalutare è l’età del bambino, nel corso della crescita cambiano i comportamenti e i bisogni e di conseguenza devono modificarsi anche le richieste e le modalità espressive che adottiamo noi genitori. Ad esempio, è un po’ eccessivo pretendere che un bambino di tre anni metta in ordine da solo la stanza, possiamo farlo insieme a lui (non sostituendoci, ma chiedendo la sua collaborazione) fino a quando non sarà autonomo.
E’ importante non creare squilibri in questo senso, anticipando o posticipando il normale andamento dello sviluppo, il rischio è quello di creare “bambini infantilizzati o adultizzati”.
- Fornire poche regole al momento opportuno
Trasmettere molte regole contemporaneamente è controproducente se non inutile, perché crea confusione: il bambino riceve una serie di informazioni che non ha il tempo di interiorizzare.
Inoltre, solitamente ci ritroviamo a trasmetterle nei momenti in cui i nostri figli le hanno disattese, tramite rimproveri o punizioni, e questo pone le basi per uno scambio comunicativo emotivamente negativo.
E’ bene, invece, limitate il numero delle regole ad un massimo di quattro/cinque, suggerendo il comportamento adeguato da seguire con anticipo.
E se il bambino non accetta le regole?
Una volta stabilite le regole, in modo semplice e chiaro, può comunque accadere che il bambino dimostri il proprio dissenso attraverso diversi comportamenti, che vanno dalla protesta diretta al pianto. Vediamo insieme alcuni possibili strategie per non perdere in autorevolezza di fronte a questi atteggiamenti sopra le righe.
- Se urla, abbassiamo il tono della voce
In risposta ad un no, il bambino può protestare in maniera decisa mettendosi ad urlare. Di fronte alle sue urla, alcuni genitori smarriscono il loro ruolo di guida e si mettono sullo stesso piano, urlando più forte del figlio. Questa modalità comunicativa, incentrata sulla conflittualità e sull’obbedienza autoritaria, innesca una sorta di escalation del braccio di ferro genitori-bambino del tutto controproducente.
Al contrario, abbassare il tono di voce e mantenere un atteggiamento pacato e tranquillo, spiazza il bambino (e spesso anche noi adulti) e suggerisce un modo diverso di comunicare. Inoltre, il mantenere la calma, trasmette l’idea che la rabbia può essere gestita in tanti modi diversi rispetto a strilli e pianti.
- Se è arrabbiato o triste, diciamogli “ti capisco”
Di fronte alla rabbia o alla tristezza di nostro figlio, noi genitori dobbiamo mostrarci empatici e mettersi nei suoi panni, offrendogli anche la possibilità di dare un nome alle emozioni che prova.
I bambini hanno, infatti, bisogno di sapere che l’adulto capisce quello che sente e riconosce la sua tensione emotiva, questo produrrà in loro l’effetto di sentirsi accolti e ascoltati anche quando provano emozioni negative e impareranno a comunicare i loro sentimenti.
- Se piange, manteniamo il controllo
Per quanto riguarda la gestione dei pianti inconsolabili, mostrarsi empatici non vuol dire accontentare le richieste di nostro figlio facendo strappi alla regola. Quando il bambino non sente ragioni e si oppone con tutte le sue forze, il genitore dovrebbe comunque cercare di mantenere il controllo (anche se forse non sempre è facilissimo), provando ad entrare in relazione con lui sempre su basi costruttive.
Come fare per interrompere un comportamento inappropriato?
Pur conoscendole, non sempre i nostri figli si comportano secondo le regole, possono ignorarle o disattenderle in maniera più o meno consapevole.
In questi casi, in cui sembrano non ascoltare quello che viene loro detto e si comportano in modo “sbagliato” (ricordatevi sempre che da biasimare sono i comportamenti e non i bambini in quanto tali!) , noi genitori proviamo spesso rabbia, senso di inadeguatezza, impotenza, e possiamo decidere di ritrarci sconfitti e lasciar correre, oppure insistere usando anche “atti di forza” per farci ubbidire.
Qui riporto una tecnica, la tecnica dei tre passi, elaborata da Herber Franta (1998), che può aiutare a mantenere una relazione bilanciata e ad ottenere una positiva risoluzione dei conflitti fra genitori e figli.
Questa modalità è costituita da tre momenti distinti (tre passi appunto), che prevedono l’espressione chiara di:
- Stima, comprensione, poca direzione, proposte costruttive: “capisco che ti piaccia giocare a pallone, è un momento di gioco per te (stima e comprensione), allo stesso tempo in casa è pericoloso (poca direzione), potresti andare in giardino o al parco con i tuoi amici (proposte costruttive)”;
- Comprensione, proibizione in forma impersonale, annuncio di conseguenze: “vedo che stai ancora giocando in casa con il pallone, capisco che è proprio quello che vuoi fare (comprensione), se continuerai, dovrai consegnarmi la palla (annuncio di conseguenze)”;
- Comprensione, coerente realizzazione delle conseguenze: “sono dispiaciuto del fatto che tu non abbia deciso di andare a giocare fuori o al parco (comprensione), purtroppo adesso, come ti avevo detto, devi consegnarmi la palla (coerente realizzazione delle conseguenze)”.
In queste situazioni, dove i nostri figli disattendono una regola, non dobbiamo in nessun modo definire il bambino come incapace o cattivo, ad essere disapprovati sono e restano i suoi comportamenti.
Per un approfondimento:
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