La questione del rapporto tra mente e cervello è un problema che affonda le sue radici nel lontano passato e ha affascinato filosofi, pensatori e scienziati di tutti i tempi, ma la questione è tutt’altro che risolta, tant’è vero che proprio in questi mesi il dibattito si è riaperto (se mai si fosse fermato) e Shallice, professore di neuropsicologia, matematico e coordinatore del settore di neuroscienze cognitive della Sissa di Trieste, afferma con decisione: “la mente non è prodotto dei neuroni“. I termini della questione sono stati a lungo mal posti, ritenendo che si trattasse di una contrapposizione tra biologico e psicologico.
Gli sviluppi della neuropsicologia e della scienza: che cos’è la coscienza?
Oggi, con il progredire della ricerca neuroscientifica, il tema della discordia può essere inquadrato in maniera più precisa. Le neuroscienze cognitive hanno, infatti, permesso di guardare oltre il substrato organico scoprendo che, oltre il reticolo di circuiti elettrici di cui è fatto il cervello, c’è qualcosa di più che sfugge la possibilità di tracciamento da parte delle macchine. Questo di più, certamente, non prescinde la materia organica con la quale è, invece, intrinsecamente connesso e con cui interagisce in maniera complessa ma allo stesso tempo ordinata.
Parlando di un di più, al di là della materia, viene subito in mente la coscienza, elemento psicologico peraltro indagato anche da altre discipline, quali la filosofia, e pertanto considerato diverso, distinto dal corpo e quindi non indagabile scientificamente.
Ma parlare di un prodotto dei neuroni non afferrabile direttamente dalle apparecchiature vuol dire anche parlare di proprietà cognitive che hanno una ricaduta diretta sul nostro comportamento e sul funzionamento mentale.
Infatti, con il termine coscienza sono stati individuati costrutti e processi mentali diversi tra loro:
- immediatamente il pensiero va all’ambito delle sensazioni e della consapevolezza, a quel processo che permette di avvertire, registrare e ricordare un evento, un avvenimento, di un azione nel campo dei propri vissuti.
- In ambito neuroscientifico, similmente, ci si riferisce ai meccanismi che portano a generare ed elaborare la consapevolezza del sé e delle proprie sensazioni, anche se non si è ancora pervenuti a una definizione da tutti riconosciuta e accettata (Marcel e Bisiach, 1988).
- Anche in ambito neuropsicologico non si può contare su di una definizione univoca. In questo settore, infatti, esistono diverse posizioni e punti di vista: secondo alcuni la coscienza coinciderebbe con quello che riusciamo a ricordare o a elaborare, secondo altri invece con le funzioni cognitive quali l’attenzione, la memoria e il linguaggio.
Cosa possono dirci le lesioni cerebrali sul funzionamento del cervello e del suo rapporto con la coscienza?
Un contributo interessante e illuminante, a mio parere, proviene dagli studi condotti, a fronte di lesioni cerebrali, in ambito neuropsicologico. A riguardo può essere d’aiuto, per capire lo status della questione, l’affermazione del neuropsicologo Larry Waiskrantz:
Quanto a me, se non fosse stato per i pazienti che mi hanno costretto ad ammettere che non solo esisteva un problema, ma che era un problema affascinante e importante, probabilmente sarei rimasto lontano da ciò che gli scienziati consideravano metafisica e da ciò che i filosofi consideravano confusione.
A partire da questo contributo e dalla considerazione dei resoconti di alcuni pazienti con lesioni cerebrali, nonché dall’osservazione dei loro sintomi, è possibile affermare con una certa sicurezza, fondata sui contenuti e sui metodi utilizzati per pervenire a questa conclusione, che la coscienza è qualcosa di non riducibile agli stati fisici del cervello.
Se è vero che durante la nostra giornata compiamo innumerevoli azioni volontarie i cui processi neurali responsabili non necessitino di un accesso alla coscienza, è pur vero che siamo coscienti delle azioni che facciamo e anche di quelle che decidiamo di non fare.
Ma questa evidente, quanto apparentemente banale, situazione può essere alterata in presenza di una lesione cerebrale che, come nel caso delle anosognosie, rende la persona non consapevole della propria malattia e anzi la porta a negarla attivamente sia a parole che a livello di consapevolezza: il malato cioè è fermamente convinto di riuscire a fare le cose esattamente come prima, mentre nei fatti la lesione cerebrale gli impedisce un comportamento normale e funzionale.
Il funzionamento del cervello: fra circuiti neurali e processi dinamici (e creativi)
Dai lavori di Shallice è possibile rilevare un altro dato altrettanto sorprendente: pur essendo in grado di studiare le lesioni e di risalirne ai motivi, le indagini neuropsicologiche e scientifiche non sono in grado di tracciare sempre il funzionamento mentale ma solo di ricavarne un disegno parziale delle cause che sempre più vengono ritenute non solo meccaniche e organiche. E’ stato affermato infatti che, individuata la lesione che si ritiene essere la causa del disturbo, si può ritenere allo stesso tempo che il problema non risieda sempre e semplicemente in cause meccaniche, ma si debba ricorrere a sistemi molto più complessi e dinamici di tipo non esclusivamente organico.
E’ sulla base di questi studi che il professor Mauro Ceroni, docente e ricercatore in neurologia presso l’Università di Pavia, afferma che l’assunto secondo cui l’uomo sia il suo cervello non ha nulla di scientifico.
Questo, forse, oltre a rispondere a indagini scientifiche, risponde anche al nostro ego, permettendoci di poter affermare che in fondo non siamo così preordinati come la neurobiologia potrebbe farci sembrare. Che qualcosa sfugga al controllo dei neuroni e sia invece da imputare a processi più dinamici e forse sotto l’influenza più autonoma del singolo individuo può, a mio parere, farci sentire tutta la nostra unicità, la nostra ricchezza e renderci orgogliosi, e responsabili, di quello che facciamo, di quello che scegliamo di fare e sopratutto di come lo mettiamo in atto.
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