Il paradosso delle medaglie
Durante queste ultime Olimpiadi Invernali svolte a Sochi (Russia), vi sarà magari capitato di guardare la premiazione degli atleti vincitori di medaglie olimpiche.
Un occhio attento può cercare di notare alcuni particolari che generano un paradosso: sovente, infatti, può accadere che l’atleta premiato con la medaglia d’argento, che si piazza quindi al secondo posto, pare essere meno felice e soddisfatto di colui che arriva terzo e a cui viene assegnata la medaglia di bronzo.
Anche se la cosa può sembrare paradossale, in realtà, in psicologia, si è cercato di dare una definizione a questo avvenimento.
Attribuire un significato agli eventi
In generale tutti noi tendiamo a dare un significato a ciò che ci capita; è una strategia che adottiamo per poter dare una coerenza a tutti gli avvenimenti della nostra vita (e quindi di non attribuire tutto ad un ipotetico “destino”) e per poter affrontare al meglio gli avvenimenti negativi, infatti, se riusciamo a dare un significato ad un elemento negativo, probabilmente possiamo pensare a come poterlo affrontare o a ridurre le conseguenze drastiche. Per effettuare questa attribuzione di significato, ogni persona cerca di analizzare (ovviamente non in maniera razionale, ma automatica) tutti gli elementi che intervengono nella determinata situazione e non attribuisce un valore oggettivo a quest’ultima. All’interno della valutazione che ogni persona compie automaticamente, rientrano:
- il confronto sociale, cioè quel tipo di valutazione cognitiva tramite la quale una persona attribuisce un valore ad un evento, anche in base al risultato che quest’evento ha su altre persone (il classico esempio della mamma che è più soddisfatta del proprio figlio se l’8 in matematica è uno dei voti più alti. La stessa madre non sarebbe così contenta se la maggior parte dei compagni di suo figlio ha avuto un 9 o un 10),
- l’attribuzione di importanza che una persona da ad un evento non in base al valore assoluto, ma in base alle proprie aspettative.
Perdere il treno…
Per spiegare meglio quest’ultimo elemento possiamo fare un esempio: possiamo immaginare una situazione in cui due persone perdono un treno. Entrambi non hanno sentito la sveglia, solo che il primo si è svegliato ancora in tempo per prenderlo al pelo, il secondo no. Il primo fa colazione di fretta, si lava veloce prende le valigie, chiama un taxi e rimane imbottigliato nel traffico, arriva in stazione, corre e vede che il treno gli parte davanti.
Ecco, possiamo immaginare che, pur se prendere quel treno aveva la stessa importanza per entrambi, l’arrabbiatura del primo sia maggiore rispetto al secondo che si sveglia con il treno che è già partito, dato che il primo può rimuginare su tutta una serie di situazioni che l’hanno portato a perderlo (“Avessi sentito la sveglia”, “Non avessi fatto colazione”, “Mi fossi lavato più in fretta”, ecc), mentre il secondo può solo rimuginare sul fatto di essere un dormiglione.
Questo semplice esempio può mostrare quanto in realtà sia decisamente comune dare dei significati alla realtà che non corrispondono solo ed esclusivamente al risultato ottenuto, ma vengono mediati da fattori esterni.
Pensiero controfattuale
Questo modo di agire dell’essere umano si chiama pensiero controfattuale, cioè il costruire nella propria testa vari scenari in cui si generano diversi esiti di una situazione in base ad alcuni cambiamenti. La domanda tipica del pensiero controfattuale è appunto “Cosa sarebbe cambiato se…?“.
Il pensiero controfattuale ha anche delle direzioni (upward o verso l’alto e downward o verso il basso), infatti, posso immaginarmi sia cosa avrei guadagnato se… sia cosa avrei perso se…; tornando infatti al nostro podio virtuale troviamo che ciò che fa la differenza è l’importanza attribuita alle alternative: il vincitore della medaglia d’oro che, felicissimo, gioisce per il premio vinto come riconoscimento del suo duro lavoro e sa che a livello di risultato oggettivo non sarebbe potuto andare meglio; il secondo invece dovrebbe essere felice per l’argento, ma guarda con un po’ di invidia quella medaglia d’oro che viene baciata da un altro atleta, valutando che se fosse arrivato terzo avrebbe comunque una medaglia e considerando quindi come più importante il fatto che questa medaglia non sia l’oro. Il secondo invece in tutte le alternative possibili, considera più importante il fatto di aver vinto una medaglia poiché la bilancia della situazione pende tra vincere un argento (che comunque non è oro) o non vincere nessuna medaglia. Ovviamente tutti questi pensieri sono automatici!
Sopra tutto il mondo (o quasi…)
William James, uno dei padri della psicologia, nel 1892 ha scritto a riguardo:
“..Così abbiamo il paradosso di un uomo umiliato a morte perché egli è solo il secondo pugile o il secondo rematore al mondo. Il fatto che sia in grado di battere l’intera popolazione del globo meno uno è nulla: ha dato tutto se stesso per battere quello; e finché non ce la farà, nient’altro conta per lui“
Cosa possiamo ricavare da questo?
Come abbiamo visto, il ragionamento controfattuale è un meccanismo assolutamente automatico e sarebbe quindi impossibile cercare di eliminarlo. Quello che possiamo fare è di cercare di controllarlo in due modi:
- fissandoci a priori degli obiettivi (nello sport e nella vita) che siano chiari e significativi per noi e che non lo siano solo oggettivamente;
- avendo un pensiero positivo, cercando quindi di valutare tutte le situazioni (non solo quelle upward) per capire quanto è importante un risultato ottenuto.
A questo proposito rimando ai prossimi articoli in cui si approfondiranno meglio queste due strategie.
Per approfondire il tema:
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