Fantascienza? Assolutamente no.
Negli ultimi 10 anni circa abbiamo assistito ad un picco esponenziale di crescita nel campo della tecnologia che ha portato a qualcosa che credevamo futuristica: la cibernetica e i robot.
La tecnologia è dalla nostra parte nell’aiutarci a comprendere e curare disturbi di tipo prettamente cognitivo, come i deficit attentivi o di apprendimento. Questo è possibile solo per mezzo di robot costruiti appositamente dallo storico marchio Lego, con i suoi Mindstroms che aiutano i bambini affetti da deficit cognitivi, grazie alla caratteristica di questi ultimi a vedere tutto come un gioco.
I robot hanno sembianze e movenze umane ma vengono percepiti come giochi e qui si trova la chiave del lavoro di miglioramento delle performance. Questa nasce grazie allo studio fra l’equivalenza dei comportamenti teleologici degli organismi e dei comportamenti degli organismi artefatti a retroazione negativa con la logica delle reti neurali e la realizzazione di modelli (sistema nervoso). Il concetto principale che si trova dietro tutto questo è quello di retroazione, ovvero la capacità dei sistemi di tener conto dei risultati al fine di modificare il sistema stesso. Il tipo di retroazione che ci interessa prendere in considerazione è quello di retroazione negativa, caratterizzata da uno scambio con l’ambiente e dalla regolazione delle informazioni in vista di certi scopi.
Perché utilizziamo questi “sistemi”?
Tra le più rilevanti applicazioni pratiche dell’Intelligenza Artificiale si possono ricordare quelle relative ai settori dellapsicologia e della medicina: in psicologia l’uso di agenti robotici come strumenti educativi ha trovato impiego nella cura di bambini affetti da deficit di varia natura, quali l’autismo, la sindrome di Down, la balbuzie. Questi modelli si basano sull’interazione tra il bambino e il giocattolo robotico.
Un gruppo di bambini affetti alcuni dalla sindrome di Down, altri da balbuzie, altri ancora da ritardi mentali più o meno gravi sono, ad esempio stati fatti interagire con un robot mobile costruito con il cosiddetto Lego Minstroms, un sistema che permette al robot di agire in modo di volta in volta diversificato. I bambini hanno mostrato un incremento dei tempi di attenzione e l’inclusione spontanea del robot all’interno di schemi di gioco interattivo, risultati che sembrano inserire il ricorso a robot tra i possibili metodi riabilitativi atti a migliorare le prestazioni cognitive e gli atteggiamenti comportamentali.
Mindstorms è un prodotto realizzato dalla Lego ed è costituito da una serie di “mattoncini intelligenti” dotati di una
componente elettronica che ne permette la suggestione. La versione che viene utilizzata è il Mindstorms NXT, una versione più evoluta della precedente rilasciata a partire dall’agosto del 2006. NXT, in parole povere è un robot programmabile attraverso il computer e dotato di numerosi sensori e motori che ne permettono l’interazione con il mondo esterno. L’educational robotics è un nuovo settore di ricerca che considera le tecnologie robotiche come “oggetti-con-cui-pensare”, avviando lo sviluppo della robotica applicata all’apprendimento.
Sono stati avviati laboratori sperimentali di robotica educativa utilizzando i robotics construction kits, scatole high tech che contengono tutti gli elementi hardware (mattoncini, ruote, ghiere) e software(interfaccia di programmazione) per realizzare organismi artificiali capaci di interagire nell’ambiente. Le ricerche hanno dimostrato che la sperimentazione creativa di tecnologie robotiche non solo promuove negli utenti una maggiore motivazione all’apprendimento, ma offre anche un valido supporto o per il passaggio dall’astratto al concreto e per lo sviluppo di nuove competenze cognitive. In particolare, l’interazione con i robot favorisce lo sviluppo di abilità visuo-costruttive e di ragionamento. Le prime sono particolarmente esercitate durante il processo di assemblaggio del robot, che richiede sia la scoperta (discriminazione percettiva) del mattoncino “esatto” (per forma, colore, dimensione) all’interno dell’insieme variegato dei pezzi hardware del kit, sia il suo corretto inserimento nel corpo del robot.
L’esperienza con i robot non è tuttavia circoscritta solo ai processi cognitivi “freddi”, se è vero che essa mette in gioco fondamentali elementi di fantasia, divertimento e inventiva. Nei partecipanti emerge in tutta la sua pregnanza il pensiero narrativo, che li induce a trattare l’artefatto non come un semplice automa stimolo-risposta, ma come un vero e proprio organismo “vivente”, dotato di una “storia”, di una “personalità”, di “emozioni” e di “stati mentali”. In tal senso, pensare il robot, si trasforma in un pensare con il robot. In linea con i recenti avanzamenti nel settore dell’Affective Computing tali considerazioni portano a ritenere la robotica una nuova ed interessante frontiera per il lavoro dello psicologo, con importanti potenzialità nell’area della riabilitazione di soggetti caratterizzati da varie forme di disabilità cognitiva e affettiva.
Scritto da Marco De Fonte.
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