Dopo anni e anni di telefono aziendale (e, quindi, ignoranza totale su tutto il mondo delle tariffe e dei “pacchetti” degli operatori telefonici), mi trovo, malauguratamente, a dover aprire un contratto telefonico e scelgo di restare fedele all’operatore che avevo da sempre.
Detto fatto, ecco che la mia scelta assolutamente irrazionale viene immediatamente punita e prendo una legnata memorabile. Decido così di armarmi di grandissima pazienza e inoltrarmi in modo strutturato e articolato nella selva oscura delle offerte telefoniche. E, vi assicuro, mi trovo di fronte a una sfida tutt’altro che semplice, da cui temo che difficilmente uscirò vincitrice!
Così non posso non fermarmi a riflettere su quanto sia complesso, articolato e, per certi versi, misterioso
il processo decisionale.
Diversi studi sono fatti non solo in psicologia, ma anche in economia, in filosofia, in sociologia e in antropologia sul tema affascinante della scelta. La prima considerazione chiave che spiega quanto sia complesso fare una scelta è da ricercare nel fatto che ogni scelta implica una rinuncia. Si tratta di quello che in psicologia viene definito il “costo psicologico” della scelta, che fa si che viviamo come una vera e propria perdita il fatto di dover “scartare” le altre alternative. Ovviamente questo fenomeno è tanto maggiore all’aumentare dell’attrattività delle alternative in esame. Questo fa sì che la nostra mente debba lavorare per aumentare il “peso psicologico” di una alternativa rispetto alle altre e diminuire così il senso di frustrazione dato dall’averle scartate.
Ed, infatti, il maggior ostacolo alla mia scelta sta proprio nel fatto che le alternative mi sembrino tutte uguali.
Come opera allora la mente per uscire da questo impasse?
I primi studi a riguardo della scelta sono di matrice economica e tendono a semplificare l’analisi del fenomeno, ritenendo che l’individuo sia un essere razionale e quindi in grado di prendere la miglior decisione possibile e che egli inoltre riceva dei feedback dalle sue decisioni, che permettono di affinare sempre maggiormente le scelte future. In base a questa teoria una scelta è ottimale quando massimizza il valore aggiunto per l’individuo. Gli economisti hanno addirittura elaborato una formula matematica in grado di calcolare appunto l’utilità attesa nonchè una serie di principi a cui sono riconducibili tutte le decisioni.
Ma se è tutto così semplice e lineare, probabilmente basterebbe che io scrivessi su un foglio le variabili chiave di ciascuna offerta et voilà, ecco che dovrei avere la risposta a tutti i miei problemi! Certo, viene da chiedersi, se il processo fosse così semplice e lineare probabilmente avremmo tutti lo stesso operatore e, a tendere, le compagnie telefoniche offrirebbero tutte gli stessi pacchetti.
Come mai invece ciò non avviene?
Può venirci in aiuto la teoria di Kahneman e Tversky che rivedono l’approccio normativo di derivazione economica, basandosi sull’idea che sia riduttivo spiegare le scelte degli individui come esseri totalmente razionali e affrontando invece il tema scegliendo di analizzare le scelte “reali” che compiamo ogni giorno.
I presupposti base di questo approccio sono che:
- Le scelte sono valutate in termini relativi rispetto alla posizione di partenza. Così a me sembrerà più o meno conveniente un operatore telefonico in base a quanto lo era ora quello che avevo in precedenza, diversamente avverrà se la scelta dovrà farla un cliente in precedenza aveva un operatore telefonico diverso dal mio.
- Le perdite hanno un peso psicologico maggiore rispetto ai guadagni con un rapporto di 2:1. Va inoltre considerato che ciò che si possiede ha un valore psicologico superiore rispetto a ciò che non si possiede. Ne deriva che l’operatore che sceglierò dovrà offrirmi il doppio dei vantaggi rispetto a quello che perderò lasciando il mio attuale.
- Il rischio non è valutato in modo oggettivo, ma soggettivo. Così alcune informazioni catturano di più la nostra attenzione rispetto ad altre e siamo maggiormente attenti a informazioni che confermano le nostre precedenti conoscenze. Ne deriva che sarà per me più facile ritenere meno attraente un operatore con cui altre persone si sono trovate male, rispetto agli altri, indipendentemente da ciò che realmente offre.
Che ruolo hanno le emozioni?
A tutto ciò va aggiunto che in ogni decisione entrano in maniera corposa non soltanto i nostri ragionamenti ma anche le nostre emozioni. Questo fa sì che nella nostra mente ci sia un set di “immagini mentali” che ci aiutano a filtrare gli stimoli che riceviamo. Esse sono molto generali (una caratteristica è buona o cattiva per esempio, fa bene o fa male, etc), vengono percepite difficilmente a livello consapevole e hanno però un notevole impatto
sulle nostre scelte. Di queste si serve molto bene la comunicazione, valorizzandole nel messaggio e facendo sfruttandole per incanalare al meglio le nostre scelte. Tornando al caso dell’operatore telefonico possiamo vedere l’effetto immediato positivo che ha la dicitura “senza scatto alla risposta”, oppure “anticipo di xx che ti verrà ridato in bolletta” o ancora “tax free-senza tassa governativa”.
Per concludere, è interessante osservare che diversi studi dimostrano come la componente di razionalità pesi soltanto il 20% nelle nostre scelte, mentre ben l’80% è dato dall’emotività.
Abbandoniamo dunque l’illusione di padroneggiare appieno le nostre scelte e rassegnamoci alla consapevolezza che esse non possano mai essere del tutto razionali.
Per approfondire il tema:
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