Cosa è l’empatia? Cosa ci fa decidere di aiutare un’altra persona?
Osservando fenomeni come quelli che stanno succedendo in questi giorni sulle coste siciliane interessate dal continuo arrivo di barconi stracolmi di migranti disperati in fuga dai loro paesi viene spontaneo porsi una domanda: cosa spinge molta gente ad andare in soccorso mentre altri sembrano rimanere indifferenti al dramma di questa gente? E’ solo questione di emotività? Di buonismo da una parte e cattiveria dall’altra?
Dopo 24 ore di sosta riprendono gli sbarchi di migranti sulle coste siciliane e ancora una volta, dopo l’episodio di lunedì sulle coste di Sampieri quando due bagnini e un carabiniere si erano tuffati per prestare soccorso agli eritrei che erano stati costretti a buttarsi in acqua dagli scafisti di cui si erano fidati, gli abitanti di Lampedusa si trovano a fare i conti con la disperazione della gente africana e con gli orrori che si consumano in mare.
Proviamo ad analizzare i vissuti psicologici che si celano dietro i comportamenti della gente in situazioni di interazione sociale come queste.
L’empatia è un costrutto psicologico sul quale molti autori discutono: da molti autori è considerato un fenomeno che sta alla base della capacità di condividere le emozioni vissute dall’altro, secondo altri è caratterizzato dalla capacità di comprendere il punto di vista altrui, nel primo caso, quindi, le si attribuisce una natura primariamente affettiva mentre nel secondo viene presa in considerazione la natura cognitiva del fenomeno.
Empatizzare con qualcuno non vuol dire soltanto provare dei sentimenti di compassione per l’altro o una generica vicinanza, significa invece sperimentare un’esatta concordanza affettiva grazie alla quale si sperimenta la consapevolezza che l’emozione condivisa deriva dall’emozione dell’altro (condivisione vicaria), pertanto la risposta empatica è generata dalla simultanea azione della componente affettiva e di quella cognitiva.
Quali teorie spiegano l’empatia?
Secondo il parere di Hoffman, uno degli studiosi più autorevoli dell’argomento, l’empatia da un punto di vista funzionale può essere descritta come “la scintilla che fa scaturire la preoccupazione umana per gli altri” . Il modello di Martin Hoffman articola l’empatia in forme che dalle primissime risposte emotive possibili fin dai primi giorni di vita diventano più mature e sofisticate in conseguenza dello sviluppo cognitivo. Il suo è un modello a tre componenti che, oltre all’aspetto affettivo e a quello cognitivo, prende in considerazione anche la dimensione motivazionale. L’effetto motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’altro, soccorrendolo, fa provare a chi aiuta uno stato di benessere; viceversa, la scelta di non confortare l’altro porterebbe con sé un senso di colpa.
Un modello molto interessante per la lettura delle relazioni e interazioni sociali è quello avanzato da Vreeke e Van der Mark. Secondo loro modello multidimensionale, quando percepiamo lo stato emotivo di un’altra persona la scelta fra un comportamento d’aiuto o una strategia di evitamento sarebbe mediata da due sistemi di controllo: quello di giudizio e quello di regolazione delle emozioni.
il sistema di giudizio è implicato nella decisione circa il proprio ruolo e le proprie responsabilità nelle diverse situazioni sociali.
il sistema di regolazione delle emozioni è implicato, invece, nella capacità di controllare le proprie reazioni emotive, presupposto basilare affinché possiamo essere in grado di aiutare un altro in difficoltà.
Le reazioni empatiche, secondo questo modello , si evolvono in concomitanza con gli stadi di sviluppo dell’empatia partendo dal contagio emotivo (reazione emotiva automatica e involontaria), passando per un’emozionalità parallela (associazione diretta tra l’evento in cui è coinvolto l’altro e una propria esperienza simile) fino alla emozionalità reattiva. Solo quest’ultima è considerata dagli studiosi compiutamente una forma di empatia poiché si inserisce in un contesto relazione e comunicativo capace di dare risposta al bisogno particolare che l’altro esprime. Questa forma di empatia motiva il comportamento prosociale e altruistico in quanto porta a comprendere il punto di vista dell’altra persona, a condividerne la sofferenza, a preoccuparsi per lui e a cercare di offrire conforto al suo disagio, interpretando la sua sofferenza come una richiesta d’aiuto.
Secondo Vreek e Van der Mark nel modulare la risposta empatica all’altro intervengono, inoltre, i fattori di personalità ma anche i fattori relazionali, legati alle esperienze relazionali che abbiamo vissuto.
Fra questi ultimi un peso notevole è da attribuire alla relazione genitore-bambino. Dagli studi condotti appare rilevante la capacità empatica espressa dai genitori nei confronti dei propri figli, nonché l’educazione rispetto ai comportamenti prosociali e altruistici. Questi elementi sono apparsi in grado di influenzare il comportamento di apertura nei riguardi del mondo esterno e di reazione empatica nei confronti degli altri.
Per approfondire il tema:
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