Fobia sociale: se la timidezza diventa un problema

fobia sociale“La timidezza si presenta in particolar modo nel periodo adolescenziale, quando si verifica un totale cambiamento a livello fisico e un disorientamento della propria identità a livello psicologico. L’adolescente si sente spesso insicuro perché non si riconosce nel suo nuovo corpo, che si sta formando. Questa insicurezza viene generalizzata a tutti i campi e spesso si fa fatica a trovare un proprio posto dove poter stare bene. Per molti è solo una fase di passaggio, per altri può diventare un carattere permanente” (Ghezzani, 2009).

Con queste parole viene descritta una fase di vita particolarmente “critica”, in cui risulta fondamentale che il ragazzo riesca a portare a termine i differenti compiti di sviluppo che gli sono richiesti.

Come ha affermato Pietropolli-Charmet, oggi si parla di adolescenza molto più che in passato. Secondo l’autore tale fase di vita dovrebbe servire proprio a temprare il carattere del giovane (definito come un ambiguo impasto di fragilità e spavalderia), rendendolo forte e non più fragile e contraddittorio. Ma non sempre questo percorso sfocia in un esito positivo.

Diversi studi longitudinali sul temperamento dei bambini hanno messo in luce che determinate caratteristiche che compaiono in tenera età esercitano un’influenza significativa sul successivo comportamento, sul funzionamento globale e persino sulla psicopatologia di una persona.

Alcune disposizioni, come certi tipi di paure, nascono durante la fanciullezza, ma crescono e si sviluppano anche nel corso dell’adolescenza, fino all’età adulta. Questi disagi infantili vengono identificati generalmente da insegnanti e genitori con termini differenti: si parla di bambini timidi, introversi, inibiti, riservati. Tali concetti, però, non si equivalgono, ed appare quindi opportuno fare chiarezza.

  • Il concetto di timidezza

Il termine timidezza viene comunemente impiegato per descrivere individui che presentano problemi nelle interazioni sociali o che risultano socialmente isolati. La timidezza può essere ipoteticamente sperimentata da un vastissimo numero di persone; alcuni individui sostengono di esserlo nella maggior parte delle circostanze, per altri, invece, si tratta di una caratteristica transitoria o dettata dalle situazioni. Il più delle volte essa viene vissuta come un tratto personale non desiderabile, specialmente per gli uomini e per gli adolescenti, che solitamente la vivono come inaccettabile e come motivo di vergogna. Come risultato, la timidezza disposizionale rischia di diventare una barriera per il benessere personale e per l’adattamento sociale e occupazionale.

  • Il concetto di inibizione comportamentale

Questo termine indica un insieme di comportamenti caratterizzati dalla paura e dall’evitamento di situazioni, persone o eventi non familiari. Sono segnali tipici del disturbo un’elevata frequenza cardiaca, dilatazione pupillare, alti livelli di cortisolo salivare, lentezza nell’iniziare interazioni sociali, inibizione al gioco e risposte di stress di fronte ad estranei.

  • Il concetto di isolamento sociale

Esistono diverse tipologie di isolamento sociale. Alcune persone, che in contesti sociali esibiscono un atteggiamento calmo ed esplorativo, possono essere definite “isolate passivamente”. Altre, invece, vengono allontanati dai pari, a causa della propria immaturità cognitiva o comportamentale.

La fobia sociale

Giunti a questo punto appare opportuno chiedersi: in che modo i costrutti sopra esaminati risultano associati alla fobia sociale?

Bruch e collaboratori descrivono la Timidezza e l’Isolamento sociale come due grandi categorie, tipiche di un vasto numero di persone. La sezione “Inibizione comportamentale” è compresa nella sovraordinata “Timidezza”, in quanto caratterizza un gruppo più ristretto di individui.

Per comprendere la differenza tra le due tipologie è necessario riprendere la differenziazione proposta dagli autori riguardo al concetto di Timidezza:

  • quella che viene chiamata Timidezza cognitiva, caratterizza i bambini socialmente reticenti, ma privi di un temperamento fisiologicamente ansioso, che sono quindi classificati come timidi, ma non inibiti o ansiosi a livello temperamentale; possono quindi essere denominati “Temporaneamente timidi“.
  • Al contrario, un secondo gruppo di soggetti, definiti “Permanentemente timidi”, presenta, oltre ai sintomi cognitivi, anche segnali di ansia fisiologica, che compaiono precocemente, suggerendo che possa trattarsi di una caratteristica temperamentale, equiparabile all’Inibizione comportamentale.

Sia i sintomi della categoria Timidezza, che quelli della categoria Inibizione comportamentale, contribuiscono a generare il costrutto di Fobia sociale, assieme alle caratteristiche dell’Isolamento sociale, descritto in precedenza.

Definizione di Fobia sociale e inquadramento clinico

Il DSM-IV suddivide i disturbi fobici in due quadri distinti: fobia specifica e fobia sociale (APA, 1994).

“La caratteristica principale della fobia sociale (SP) è una marcata e persistente paura delle situazioni sociali in cui il soggetto è esposto a persone sconosciute o al possibile giudizio della propria prestazione. Il soggetto teme la possibile umiliazione o l’imbarazzo per la propria reazione ansiosa durante l’esposizione sociale” (Rapaport et al. 1996).

Andando nel dettaglio, il DSM-IV propone che, affinché possa essere effettuata una diagnosi di SP, debbano essere presenti i seguenti indicatori (APA, 1994):

  1. Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta al possibile giudizio degli altri.
  2. L’esposizione alla situazione temuta quasi inevitabilmente provoca l’ansia, che può assumere le caratteristiche di un attacco di panico.
  3. La persona riconosce che la paura è eccessiva e irragionevole.
  4. Le situazioni sociali o prestazionali temute sono evitate o subite con intensa ansia e disagio.
  5. L’evitamento, l’ansia anticipatoria, o il disagio nella situazione sociale o prestazionale interferiscono significativamente con le abitudini normali della persona, con il suo funzionamento lavorativo (scolastico) e con le sue attività o relazioni sociali.
  6. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
  7. La paura o l’evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza.

I timori più comuni esperiti dal soggetto includono la paura di performance pubbliche come parlare di fronte ad estranei, mangiare o bere con altre persone, usare bagni pubblici e partecipare a situazioni sociali come feste o appuntamenti. L’età media di insorgenza della patologia è stimata attorno alla prima adolescenza.

Linee trattamentali

  • Un disagio difficile da riconoscere

Riconoscere la fobia sociale può risultare particolarmente difficile in adolescenza, poiché questa fase di vita è spesso caratterizzata da un incremento dell’ansia sociale dovuta ai nuovi compiti di sviluppo e a cambiamenti. Alti livelli di ansia sociale possono porre il ragazzo a rischio di sviluppare ulteriori problematiche a lungo termine e per questo è importante mostrare a genitori, insegnanti e clinici il bisogno di identificare il prima possibile i segnali di stress associati a questa problematica, in modo da poter intervenire tempestivamente e promuovere un adeguato funzionamento e comportamento in età adulta.

A dispetto della sua diffusione, sovente la SP rimane insufficientemente riconosciuta e trattata, spesso nascosta tra le altre problematiche tipiche del cambiamento adolescenziale, o scorrettamente etichettata come una caratteristica individuale. Nonostante ciò è evidenziabile un lento ma costante aumento del riconoscimento dell’importanza clinica della SP tra i giovani. Inoltre, la dimostrata cronicizzazione del disturbo all’aumentare dell’età, ha posto le basi per lo sviluppo di differenti linee trattamentali.

  • Terapia farmacologica

Durante gli ultimi dieci anni si è assistito a una crescita dell’impiego di farmaci nel trattamento della SP.

  • Rilassamento

Le tecniche utilizzate sono molteplici. Il paziente viene istruito su come regolare la propria respirazione, il proprio stato di tensione muscolare e, più ingenerale, gli si insegna a gestire i sintomi derivanti dall’aumento dell’attivazione corporea.

  • Esposizione

Il presupposto su cui si basa questo tipo di terapia è quello secondo cui l’evitamento fobico conduca temporaneamente a una diminuzione dell’ansia, andando così a rinforzare il comportamento evitativo. Il terapeuta insegna al soggetto come rompere questo circolo vizioso. Viene quindi ideata una serie situazioni ansiogene di intensità progressiva, con le quali il paziente impara a confrontarsi gradualmente e in un contesto protetto, che può essere reale o immaginario.

  • Terapie cognitivo-comportamentalifobia sociale

Questa classe trattamentale risulta essere la più impiegata nella cura delle fobie e le più diffuse tecniche utilizzate in ambito clinico sono le seguenti:

  • Social Skills Training (SST)

L’SST enfatizza il ruolo dei deficit nelle abilità sociali. Secondo questo approccio, il soggetto presenterebbe aspettative negative circa le situazioni sociali, che gli creano ansia e comportamenti di evitamento. Il trattamento prevede tecniche di apprendimento relazionale, problem-solving sociale, auto-istruzioni positive, allenamento cognitivo e graduale esposizione a situazioni sociali. Nel social skills training il ruolo del terapeuta quello di istruire il paziente riguardo ai comportamenti target e dimostrarglieli, chiedendogli poi di imparare a metterli in atto a partire da situazioni di role playing, grazie alle quali è possibile ricevere un feedback sia dai compagni, sia dal terapeuta stesso.

  • Cognitive-Behavioral Group Therapy For Adolescents (CGBT-A)

Il CGBT-A suggerisce che le aspettative negative del soggetto, l’auto-deprecazione e l’attivazione fisiologica contribuiscano alla performance sociale disfunzionale e all’evitamento delle situazioni sociali. Il cuore del modello è costituito dalla ristrutturazione cognitiva, unita all’esposizione stimolata volta a modificare i pensieri irrazionali, al problem solving e allo skills training sociale.

  • Social Effectiveness Therapy for Children (SET-C)

Il SET-C  si basa sulla considerazione per cui l’evitamento impedirebbe lo sviluppo di adeguate abilità sociali, così come l’eliminazione delle situazioni temute dal soggetto. L’approccio terapeutico prevede essenzialmente esposizione comportamentale e skills training sociale.

  • Interventi sulla famiglia

Includono tecniche di training genitoriale, in cui viene insegnato come applicare al contesto quotidiano le tecniche apprese nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale. Inoltre in questo modo risulta possibile focalizzarsi anche su quegli aspetti famigliari e generazionali che potrebbero trovarsi all’origine dello sviluppo della fobia sociale.

Conclusioni 

L’ansia è un’esperienza comune nella vita di una persona, non rappresenta un fenomeno patologico di per sé, ricoprendo, al contrario, un ruolo adattivo di evitamento del pericolo. Determinati stati ansiosi sono tipici di specifiche fasi di sviluppo. Ad esempio, l’ansia sociale e le preoccupazioni di tipo interpersonale sono prevalentemente riferite alla prima adolescenza, fascia d’età caratterizzata da un aumento fisiologico delle paure e dei timori sociali. Tuttavia, le persone a cui viene diagnosticata la fobia sociale, non si limitano a temere determinate situazioni, ma si impegnano attivamente ad evitarle.

Nonostante la distinzione tra normalità e patologia dell’ansia sociale in un ragazzo possa risultare difficoltosa, appare evidente come risulti necessario un adeguato trattamento. Un approccio integrato, che coinvolga il ragazzo e la famiglia, pare infatti essere il più adatto affinché le problematiche legate alla fobia sociale non finiscano con l’influenzare l’intera vita di un individuo,  interferendo sul suo fisico, sulla socialità e sull’ambito accademico e occupazionale.

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