Oggigiorno gli uomini si stanno costruendo una nuova identità e una nuova competenza genitoriale, lontana da quelle che erano un tempo, ovvero più vicine a quelle materne, in quanto si occupano sin dalla nascita delle cure primarie, come ad esempio l’accudimento fisico (allattare con il biberon, cambiare il pannolino, fare il bagnetto, etc.) e affettivo.
Per semplificare, potremmo definire che in passato la madre aveva il compito di mettere “al” mondo e il padre quello di mettere “nel” mondo, insegnando a vivere nella società: la figura paterna si occupava quindi di trasmettere le regole sociali e i valori, rappresentava il primo esempio di autorità con la quale relazionarsi e dalla quale imparare, proteggeva il figlio e, una volta giunto alle soglie dell’adolescenza, lo accompagnava spingendolo verso l’adultità.
Che cos’è la paternità oggi?
Il modo di essere padri è profondamente cambiato negli ultimi anni, soprattutto in virtù del suo diretto coinvolgimento fin dalle primissime fasi di vita del neonato.
Queste interazioni precoci assumono le modalità tipiche materne, facendo diventare la figura paterna una sorta di prolungamento della madre, come sottolineato dalle parole che vengono utilizzate per definire questi nuovi padri, il “mammo” o “padre maternalizzato”.
Si osserva quindi una sorta di convergenza verso la figura materna, questo perché i padri, in mancanza di un ruolo ed una identità precisa, tendono a rifugiarsi nel travestimento materno.
Potremmo parlare di un ruolo genitoriale unico, scarsamente differenziato, che vede dominanti i tratti tipici della madre, ovvero affettività, amore, accudimento, a discapito dell’ambito normativo e di contenimento. Di conseguenza, nella famiglia contemporanea manca colui che si fa carico di svolgere quella che viene definita funzione di rottura della diade madre-bambino, necessaria per permettere al figlio di emanciparsi.
La figura paterna: il regolatore della relazione diadica e l’autorità emancipatrice
La necessità di avere all’interno della coppia genitoriale un riferimento normativo, non deve essere fraintesa con l’impostazione autoritaria, si tratta al contrario di un vero e proprio bisogno del bambino di avere una persona che sappia porre limiti e regole.
Al di là della crisi identitaria in cui si trova coinvolto oggi il ruolo paterna, a livello simbolico, la madre evoca una figura amorevole e accudente, il padre assume quella protettiva ed emancipatrice. In quest’ottica, il suo atteggiamento deve da un lato trasmettere valori e porre dei limiti, dall’altro favorire una lenta e graduale separazione dalla nicchia familiare, fungendo da ponte tra famiglia e società. Così facendo, permette al figlio di affrontare insicurezze e timori, reagendo alle frustrazioni e acquisendo un realistico senso del limite.
Sin dai primi anni di vita, proprio grazie al modo di essere presente nella famiglia, il padre sostiene e, per certi versi, determina la relazione madre-bambino, poiché regola la loro distanza. Durante l’adolescenza, deve interporsi come terzo per allentare il loro legame simbiotica e permettere al figlio di sperimentarsi al di fuori del proprio ambiente familiare, continuando a rappresentare per lui il “porto sicuro” nel quale rifugiarsi in caso di difficoltà.
Alla base di questa funzione dell’autorità emancipatrice, vi è il “dare fiducia“, perno e struttura stessa della responsabilità adulta: avere una figura paterna che non promette più di quello che è in grado di offrire, che si impegna in riferimento alle proprie forze e possibilità e non delude le aspettative, induce il figlio ad affidarsi ai suoi consigli e alle sue indicazioni, in forza proprio della sua autorevolezza conquistata sul campo e non a parole.
Il corretto processo d’emancipazione ha come scopo proprio quello di permettere all’adolescente di prendersi le proprie responsabilità, dapprima sotto la supervisione genitoriale e poi in maniera del tutto autonoma e indipendente.
Quale dovrebbe essere l’evoluzione della genitorialità?
In questo quadro, la figura paterna è chiamata a riacquistare la sua valenza di mediatore con il mondo e di emancipatore. La paternità non deve essere più confusa con la maternità, deve tornare ad essere guida che trasmette valori e pone dei limiti, che indirizzare e indicare quale via percorrere per la costruzione della propria identità.
Da qui la necessità di una figura paterna e materna corresponsabili, mosse da una medesima intenzione e scopo educativo, complementari tra di loro nell’accudire e regolare.
Per concludere, ricordiamoci sempre che noi adulti siamo dei modelli di riferimento, che non lo siamo da soli e in modo distinto dagli altri, ma nella relazione e nel dialogo. Così un padre lo è nello scoprire il mondo insieme al proprio figlio, nel giocare con lui, nel dire di “no” quando è necessario, ed una madre lo è nel prendersi cura di lui, nel dimostrare amore e affettività, nell’accudire.
L’essere genitori è un continuo divenire ed una continua trasformazione, che segue il percorso di crescita di nostro figlio, pertanto non ricerchiamo la perfezione (non esiste), ma puntiamo ad essere e ad esserci!
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