Oggi, 25 novembre, g iornata internazionale di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, si torna a parlare di nuovo di violenza fisica e psicologica a danno della donna e delle sue conseguenze. Incredibile pensare che, in un’Europa che si dichiara “civilizzata”, questo tipo di problematica abbia ancora bisogno di una data per essere ricordata e sensibilizzare l’opinione pubblica a riguardo.
La data è stata infatti stabilita più di un decennio fa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999, con la risoluzione numero 54/134, con un invito rivolto ai governi, alle organizzazioni internazionali e alle Ong ad organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. A distanza di più di 10 anni, nonostante la sensibilizzazione continui e numerose leggi siano state varate nei diversi stati (es. il recente reato di stalking in Italia, febbraio 2009), la violenza sulle donne non si arresta. Secondo dati Istat, 6 milioni e 743 mila donne tra i 16 e i 70 anni sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, il 31,9% delle donne in età censita. La violenza uccide le donne più degli incidenti stradali ed è la seconda causa di morte in gravidanza. E il 96% delle violenze non viene denunciato.
Amnesty International ha esortato l’Unione europea e tutti gli stati del Consiglio d’Europa a firmare e ratificare la convenzione sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, adottata dal Consiglio stesso. Ad oggi, 17 paesi del Consiglio d’Europa hanno firmato la convenzione, la Ue ancora no.
“Attraverso questa firma sarà possibile assicurare che l’Europa diventi una zona a tolleranza zero per la violenza sulle donne”, spiega una nota di Amnesty.
In ambito europeo, il programma Daphne III, proprio a questo scopo, mira a prevenire e a combattere ogni forma di violenza, fisica, sessuale e psicologica, nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne. Si prefigge inoltre di proteggere le vittime e i gruppi a rischio per garantire un livello elevato di protezione della salute fisica e mentale, del benessere e della coesione sociale in tutto il territorio dell’Unione. Questo programma costituisce la terza fase del programma Daphne e copre il periodo 2007-2013.
La ricerca europea Daphne III sul danno ai minori che hanno assistito a violenze sulle madri, nella sezione italiana invita alla sensibilizzazione e alla formazione sul tema degli insegnanti di ogni ordine e grado. Serve una vera e propria educazione alla non-violenza, attraverso interventi di prevenzione specifici e mirati.
La sensibilizzazione e la formazione degli insegnanti è finalizzata a far sì che loro stessi diventino “moltiplicatori di prevenzione”, dando a loro competenze e conoscenze utili ed integrabili nei quotidiani processi educativi messi in atto con gli alunni, così da apportare un cambiamento nella visione collettiva del problema, che sia realmente efficace e permanente.
Anche la pedagogista Sandra Chistolini, responsabile del progetto Daphne III, interviene sull’urgenza di attivare forme di sensibilizzazione che coinvolgano anzitutto gli insegnanti. L’obiettivo: accompagnare i minori nella costruzione di modelli alternativi.
«Per la scuola dell’infanzia, elementare e di primo grado – dice Sandra Chistolini responsabile scientifico dell’indagine e docente di Pedagogia generale e sociale all’Università Roma Tre – c’è urgenza di attivare forme di sensibilizzazione per far comprendere ai docenti il fenomeno e aiutare i minori con una robusta educazione alla nonviolenza, in grado di contrastare i messaggi ricevuti sul fronte opposto e costruire una barriera di prevenzione e resistenza al danno e al bullismo».
Nella scuola secondaria si possono affrontare questi temi con «documenti scientifici e anche di carattere narrativo», utili per dare un nome alla violenza, saperla riconoscere e sapervi reagire con modalità costruttive. «Educare al rifiuto della violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti indirizza alla scelta di via alternative alla riproduzione del trauma».
Dalla ricerca Daphne III presentata ieri, giovedì 24 novembre, si evince che «a livello comparativo l’Italia emerge come il Paese nel quale il senso di identificazione con il modello materno è particolarmente rilevante».
I figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulle donne in famiglia vivono infatti in una condizione particolare, e in loro si manifestano emozioni e pensieri che rendono difficile e problematico l’inserimento in ambito scolastico, e lo stesso apprendimento subisce un rallentamento. Confrontando le esperienze di 80 giovanissimi è stato possibile verificare come il dolore subito dalla madre possa compromettere anche l’andamento scolastico.
I bambini intervistati, di età compresa tra i 9 e gli 11 anni e tutti alunni di scuole romane, sono stati divisi in due gruppi a seconda della situazione familiare caratterizzata da episodi di abusi o meno, e quello che scaturisce è un ritratto abbastanza toccante.
I figli di madri vittime di abusi, infatti, sembrano essere consapevoli di non avere un’intelligenza inferiore ai coetanei, tuttavia manifestano un minore interesse e, soprattutto, sentono di avere capacità limitate e competenze meno elevate degli altri. E non solo, un buon 32 per cento afferma di odiare la scuola, di non avere amici e di non riuscire a memorizzare bene i concetti esposti dagli insegnanti.
I voti, di conseguenza, sono generalmente bassi anche per quanto riguarda la condotta e le discipline sportive. Insomma, una diversità dai coetanei che non hanno vissuto vicende di violenza sulle donne che evidentemente si ripercuote sull’apprendimento. L’aspetto peggiore di tutta la faccenda è che in questi bambini cresce anche un temperamento aggressivo, che può sfociare in bullismo, come ha affermato Sandra Chistolini lanciando un allarme sulle possibili conseguenze future.
«I bambini esposti a violenza sono dei potenziali bulli, sono più aggressivi e disattenti, hanno un’alta considerazione di sé, non raccontano agli adulti i loro problemi e non chiedono aiuto nelle difficoltà. Da grandi potrebbero anche essere violenti con le loro madri. Su questo problema la scuola deve avere una sensibilità maggiore. A breve diffonderemo una guida per gli insegnanti utile ad affrontare per tempo la situazione di disagio».
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