«Quando smetti non è facile ritrovare un equilibrio, fisico e psicologico. Si passa da tre ore di allenamenti al giorno a zero, o quasi. Si passa dall’adrenalina ogni domenica, ad un’esistenza normale. Sembrerà una sciocchezza, ma credo che uno psicologo, qualcuno che stia vicino a chi smette di giocare sia necessario. Perché è dura». Marisa De Santis (Moglie di Agostino di Bartolomei)
Una notizia recente ha sconvolto il mondo dello sport e, in particolare del calcio slovacco e belga: Marek Spilar, ex difensore del Bruges e della nazionale Slovacca si è tolto la vita lanciandosi dalla finestra di un appartamento situato al quinto piano.
Questa terribile notizia ci riporta con i ricordi a casi avvenuti anche qui in Italia come quelli di Agostino di Bartolomei, storico capitano della Roma che si è ucciso con un colpo di pistola nel suo appartamento nel 1994, come la morte tragica di Marco Pantani che, dopo un periodo di depressione, si è tolto la vita in un tragico giorno di San Valentino nel 2004 con un overdose di droghe o, infine, come il caso più fortunato di Gianluca Pessotto, ex giocatore e attuale dirigente della Juventus che, nel 2006, ha tentato il suicidio lasciandosi cadere dall’ultimo piano della sede della Juventus ma che, per fortuna, i medici sono riusciti a salvare. Ci sono anche tanti altri casi di atleti che, pur non essendo arrivati a compiere l’atto estremo del suicidio, sono entrati in uno stato di depressione più o meno grave.
Cosa succede a questi atleti?
Molto spesso si è cercato di dare, a questa depressione che colpisce gli atleti a fine carriera, alcune spiegazioni esterne rispetto allo sport (spiegazioni che a volte hanno purtroppo a che fare con macabre ricerche di scoop giornalistici come tradimenti, dipendenze da droghe, cattive scelte di vita…) ma, in alcuni casi, la spiegazione è proprio dovuta proprio dal fatto di aver concluso la propria carriera agonistica come atleta.
Alcune ricerche hanno dimostrato che il 20% degli atleti in attività soffre di depressione, ma che la percentuale sale addirittura al 50% se si considerano anche gli atleti che hanno concluso la propria carriera.
E’ di questi giorni un articolo della Gazzetta dello Sport dove, avendo somministrato un sondaggio anonimo ai calciatori di serie A, tra tante altre variabili studiate, si può notare che il 78% dei giocatori ha manifestato durante la sua carriera almeno un sintomo della depressione.
La depressione in generale può avere molteplici cause: psicologiche, fisiologiche, sociali, ecc.., quindi non si può cercare una spiegazione univoca che valga per tutti gli atleti colpiti ma, in generale, si può fare un inquadramento delle maggiori cause che possono portare uno sportivo al pieno delle sue energie oppure con una bella carriera agonistica alle spalle ad attraversare uno stato di depressione che, a volte, può spingerlo fino al suicidio.
La carriera di uno sportivo agonista ha, in genere, una parabola anomala rispetto a quella normale lavorativa poiché comincia abbastanza presto (in genere verso i 16 anni un atleta comincia ad entrare nell’agonismo) e termina in una fascia d’età (35-40 anni) in cui, solitamente, per qualsiasi altro tipo di lavoro, si è al massimo delle proprie potenzialità. L’atleta si trova quindi a dover reinventare la propria vita e, soprattutto, la propria identità, essendo troppo giovane per “adagiarsi” sugli allori godendosi i frutti della propria carriera (anche facendo un discorso esclusivamente economico, sono pochi gli atleti che potrebbero vivere di rendita con ciò che hanno guadagnato durante la carriera), ma troppo “vecchio” per poter cominciare da zero una qualsiasi carriera lavorativa.
Alcuni atleti scelgono di “trasformarsi” in allenatori, dedicandosi a insegnare tutto quello che sanno a giovani atleti, altri di rimanere all’interno dello sport come dirigente o all’interno di federazioni ed enti pubblici che si occupano di promozione dello sport, altri invece cercano di portare avanti progetti di vita completamente differenti che magari hanno coltivato parallelamente alla carriera.
Queste persone riescono quindi a modificare la propria identità di atleta in qualcos’altro.
Ma in cosa consiste l’identità di atleta?
Gli atleti famosi o che sono arrivati a un livello alto all’interno del proprio sport, costruiscono la propria vita attorno a condizioni di vita diverse rispetto alla normalità dei casi lavorativi. Sono infatti sottoposti a :
- Spostamenti e trasferimenti continui
- Pressioni da parte di Società e sponsor
- Giudizi da parte di tifosi e media
che se vengono gestite in maniera equilibrata portano a grandi soddisfazioni personali dovute dai propri successi, dalla notorietà che si acquisisce e, a volte, da guadagni economici elevati.
Il fatto di essere conosciuti, tifati o odiati da centinaia, migliaia di persone che seguono il tuo sport, influenza di molto il modellamento della propria identità. La costruzione dell’identità dell’essere umano si costruisce e si modifica all’interno della cornice relazionale della persona, cornice che può essere più o meno ampia estendendosi dall’ambito familiare a quello più propriamente sociale.
Il fatto di concludere la propria attività come atleta di alto livello porta quindi a perdere gradualmente la notorietà dovuta dai riflettori del campo e dei media, di doversi adattare a ritmi e orari e diete diverse, di dover cominciare a cercare altre fonti di guadagno, e di dover cominciare a fissare dei propri obiettivi di vita diversi da quelli sportivi porta quindi la persona a distruggere o comunque a trasformare il modo in cui viene conosciuta dagli altri ma anche, e soprattutto al modo in cui conosce sé stesso, dovendo per forza affrontare un periodo di crisi di identità, periodo che per alcune persone, unito ad alcune caratteristiche di fragilità individuale può portare a depressione con diversi livelli di gravità.
Come si previene o si combatte questa depressione?
Come abbiamo visto prima, reinventare la propria vita e identità è, per un atleta, una scelta ardua che può portarlo a decisioni che possono rivelarsi anche sbagliate. Per esempio, per diventare allenatore, bisogna aver superato bene il distaccamento dall’identità di atleta; è possibile infatti che alcuni di questi ex-sportivi, da allenatori, proiettino le proprie identità e aspettative sui giovani atleti, cercando di vivere, tramite loro, la propria vita agonistica, ormai conclusa.
E’ quindi necessario che la persona riesca a superare completamente questa crisi sia per prevenire una depressione, sia per poter cominciare a costruirsi una nuova vita.
Uno psicologo, e in particolare uno psicologo dello sport può essere di molto aiuto per queste persone poiché può fornire un valido supporto di consulenza per poter superare la crisi, ma anche per aiutarle a ridefinire i propri obiettivi, sia che essi siano legati al mondo dello sport, sia che non lo siano ma che comunque necessitano di una ridefinizione delle proprie esperienze e conoscenze acquisite tramite lo sport.
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