Cos’è l’effetto spettatore?
“Il soggetto guarda gli altri presenti nella stanza per cercare di interpretare cosa sia successo. L’inattività degli altri comunica al soggetto che questa non è una emergenza”
Ne avete probabilmente sentito parlare e quasi certamente attuato in prima persona. Ci stiamo riferendo ad un comportamento studiato dalla Psicologia Sociale, “l’effetto spettatore”.
Questo fenomeno risponde alla domanda: “Perché le persone non aiutano?”
Gli studi sul comportamento pro-sociale ci mostrano una spaccatura del comportamento stesso, da un lato le persone si impegnano ad aiutare vittime di disastri, ma dall’altro vi sono numerosi esempi di persone che non aiutano vittime in situazioni di pericolo.
Essere uno spettatore indifferente oppure un “buon Samaritano”?
Cerchiamo di spiegare cos’è “l’aiuto” e i meccanismi sociali, spiegati soprattutto in un quadro evoluzionistico, che sottendono al comportamento prosociale.
L’aiuto si riferisce alle azioni tese a migliorare la situazione della persona che ne è destinataria dove l’altruismo, generalmente mosso dalla compassione, potrebbe rappresentarne una restrizione, dal momento che questo comportamento sembrerebbe avere come scopo ultimo quello di ottenere approvazione sociale oppure per ridurre il proprio senso di disagio quando ci si trova a essere testimoni di una situazione di emergenza; quindi quando lo scopo non è mirato al solo beneficiare dell’altro.
Due psicologi, Darley e Latane nel 1968 introdussero il termine “ effetto della numerosità”, ovvero la probabilità di intervento diminuisce in funzione del mero numero di spettatori. Se molte persone sono testimoni di un’emergenza che coinvolge un’altra persona, ognuno è consapevole del fatto che gli altri potrebbero intervenire. Questa consapevolezza costituisce la base della diffusione della responsabilità: ognuno dei testimoni ritiene che la piena responsabilità non sia centrata su di sé, ma sia condivisa tra tutti i testimoni. Di conseguenza, la disponibilità a offrire aiuto si riduce. Dunque possiamo derivare l’ipotesi che i testimoni di un’emergenza che sono consapevoli della presenza degli altri, ma che non possono vederli o sentirli, aiutino meno rispetto a quando non vi sono altri testimoni. Ciò accade perché, all’aumentare del numero dei testimoni, è probabile che si intensifichi il processo di diffusione della responsabilità.
Riporterò qui i risultati dell’esperimento di Darley e Latane:
“Tutti gli studenti che cercarono di aiutare la persona in crisi epilettica reagirono entro i primi 3 minuti. In generale, in tutti i momenti successivi alla crisi epilettica, la percentuale di partecipanti che interveniva era maggiore nella condizione di gruppo formato da 2 persone, seguita da quella dei partecipanti che credevano di essere in un gruppo di 3 persone. Il livello di aiuto più basso si aveva nella condizione del gruppo formato da 6 persone. L’85% dei partecipanti che credevano di essere i soli testimoni della crisi intervenne. Nella condizione di gruppo formato da 3 persone la percentuale fu del 62%, mentre solo il 31% dei partecipanti intervenne quando credeva che ci fossero altre 4 persone che potenzialmente potevano prestare soccorso”.
In conclusione l’inibizione del comportamento prosociale potrebbe essere dovuto dalla combinazione di tre elementi:
- La diffusione della responsabilità: uno spettatore da solo sente su di sé la responsabilità di intervenire. Se altre persone sono presenti, ogni spettatore percepisce meno responsabilità, poiché questa è diffusa tra tutti i presenti; questo riduce la motivazione ad agire in modo prosociale a favore della vittima.
- Il modello implicito del “non è successo niente”: dal momento che gli spettatori esitano e cercano di capire cosa bisognerebbe fare, diventano senza volerlo modelli di passività per gli altri. La risposta appropriata diventa “non fare nulla”. La passività come norma sociale.
- La paura dell’imbarazzo: la presenza di altri spettatori suscita sensazioni di disagio, poiché gli altri potrebbero essere degli osservatori di un potenziale intervento. Ne risulta un’ansia sociale che inibisce gli interventi, specialmente quando ci sono dei dubbi sulla possibilità di intervenire. Annessa a questa sensazioni troviamo la “paura della valutazione”, dove i potenziali soccorritori potrebbero temere di aver interpretato una situazione in modo erroneo e quindi non urgente/di emergenza ed essere giudicato come sciocchi di conseguenza.
Scritto da Marco De Fonte.
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