Il termine “Anorexia Nervosa” è stato utilizzato per la prima volta nel 1874 da uno dei più famosi chirurghi dell’epoca, l’inglese William Withey Gull per indicare la sindrome di dimagrimento auto-provocato. Ma in realtà, il primo caso di Anoressia Nervosa fu registrato dal medico inglese Richard Morton con la famosa descrizione di una duchessina diciottenne che si era ammalata nel luglio 1684 e che morì quattro mesi più tardi:
“ ebbe la totale scomparsa delle mestruazioni … cominciò a mancarle l’appetito… non ricordo di aver mai visto, in tutta la mia pratica, un essere vivente così emaciato dalla consunzione (come uno scheletro appena rivestito di pelle) eppure non v’era febbre, anzi al contrario una freddezza in tutto il corpo…”
Oggi l’Anoressia Nervosa è un disturbo purtroppo molto noto, infatti, esso rappresenta un grave e diffuso problema soprattutto tra le adolescenti.
Si calcola che solo in Italia su 100 ragazze tra i 12 e i 25 anni, 8 o 10 soffrono di un disturbo del comportamento alimentare e, di queste, almeno 1 o 2 presentano le forme più serie di anoressia o bulimia nervosa.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV-TR, 2005) dell’American Psychiatric Association descrive questo disturbo con questi criteri diagnostici:
- Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità a raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).
- Intensa paura di acquisire peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.
- Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
- Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi.
Sottotipi:
- con abbuffate / condotte di eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).
- con restrizioni: nell’episodio attuale il soggetto non ha presentato abbuffate o condotte di eliminazione.
Questo disturbo presenta moltissime difficoltà e problematiche particolarmente gravi.
Ha una lunga durata di malattia, si calcola, infatti, che nei casi più severi per ottenere una guarigione completa sono necessari dai cinque ai dieci anni.
Presenta il tasso di mortalità più alto tra tutti i disturbi psichiatrici (dal 3 al 18% dei casi).
Le azioni d’intervento per questa malattia sono molto complesse e non del tutto definite, sia da un punto di vista teorico e tecnico, che in termine di pianificazione di servizi. Sono, infatti, pochissimi in toscana i reparti o i centri di salute mentale dell’Azienda U.S.L. attrezzati ad accogliere questa problematica ed è recente la notizia che sarà aperto uno specifico centro residenziale di cura in Versilia, ma solo tra sei mesi.
Questo disturbo è considerato molto pericoloso, non solo per la sfera psicologica o per l’elevato rischio di mortalità, ma anche per le conseguenze di ordine medico che crea secondariamente e che a volte segnano la paziente per tutta la vita soprattutto se l’esordio della malattia è negli anni dello sviluppo.
Una scarsa crescita dell’ossatura sia in lunghezza che in robustezza, quindi, una statura inferiore o frequenti fratture ossee, sono le conseguenze della osteoporosi, originata dalla mancata assunzione di latticini e alimenti ricchi di calcio. Non solo, la malnutrizione, i comportamenti purgativi e il vomito autoindotto provocano altre gravissime complicanze mediche come: infezioni, alterazioni ormonali, squilibri elettrolitici, ipotermia e disidratazione, anemia, alterazioni immunitarie, insufficienza renale, diabete, ipotensione, aritmie, bradicardia, riduzione delle dimensioni del cuore, erosione esofagee, danno epatico e danno pancreatico.
A livello psicologico c’è un’elevata comorbilità (ossia coesistenza di due o più patologie) con altri disturbi psicopatologici, anche se a volte è difficile comprendere se questi sono già presenti o secondari, ossia conseguenti all’anoressia. Tra questi i più gravi sono la Depressione, i disturbi di Ansia, i comportamenti ossessivi e compulsivi, i disturbi della concentrazione e altri problemi cognitivi, i sintomi psicotici, l’isolamento sociale, l’irritabilità e infine i tentativi di suicidio e il suicidio.
Uno degli aspetti che rende tanto insidiosa questa malattia è che, la paura di ingrassare non si attenua con il dimagrimento, ma al contrario, paradossalmente, tende ad aumentare con la riduzione del peso. Frequentemente si presentano comportamenti patologici come l’esercizio fisico eccessivo, il confronto continuo con lo specchio, con la taglia dei vestiti e con la bilancia in particolar modo.
Col peggiorare del disturbo si manifesta una vera e propria ossessione per il cibo, che condiziona completamente la paziente. Essa, infatti, può collezionare ricette, passare ore a mangiare il cibo tagliato in pezzettini minuscoli, contare le calorie ingerite e quelle consumate, passare ore a cucinare ricette elaborate e raffinate. Una lunga serie di ritualità mentali e comportamentali che ruotano intorno al cibo, ma non alla propria nutrizione.
L’immagine corporea assume per queste pazienti la base sulla quale costruire i propri livelli di autostima, quindi la forma del corpo, il peso e la magrezza estrema sono obiettivi fondamentali: la perdita di peso è vissuta come una conquista straordinaria, ottenuta con una ferrea disciplina di cui essere fiere, mentre l’aumento di peso, come un’inaccettabile perdita delle capacità di autocontrollo, quindi come un motivo di profonda delusione e insoddisfazione di sé.
Nell’Anoressia, il livello di autoaggressività è altissimo, ed è calcolabile dalla frequenza di suicidi, tentati suicidi, dal negare i livelli di emaciazione estrema, dai comportamenti compulsivi e dall’uso di rimedi estremi come uso eccessivo di lassativi, il vomito autoindotto, lo sforzo fisico estremo, il rifiuto ad alimentarsi.
Alcuni autori, a causa di queste caratteristiche, hanno definito, la stessa Anoressia Nervosa, un comportamento autolesivo (Van der Kolk, 1991).
Una caratteristica determinante è la negazione della malattia, intesa come difficoltà a riconoscere i sintomi come segni di un disturbo. La paziente, infatti, vive i comportamenti di restrizione alimentare, di controllo e le gravi conseguenze di queste sulla propria salute, non come una difficoltà o una malattia, ma come un tentativo di risolvere i propri problemi. E questo costituisce un motivo per cui le pazienti anoressiche non richiedono quasi mai un trattamento e se lo fanno su pressioni dei familiari, la loro motivazione al cambiamento è tipicamente molto scarsa.
Per una giovane con anoressia nervosa, il cibo è uno strumento per acquisire una fittizia sicurezza circa la propria forza di volontà e la capacità di autosufficienza di fronte al difficile mondo delle relazioni interpersonali. Il cibo è elemento integrante nella relazione di attaccamento e accudimento, ossia è la rappresentazione di un bisogno primario che per lungo tempo nella nostra vita non è stato possibile soddisfare da soli. Riuscire a fare a meno di questo bisogno, ossia, non assumere cibo, è per l’anoressica, la più grande dimostrazione di volontà, d’indipendenza e di autosufficienza nei confronti delle figure significative della propria vita. Insieme a questo, anche il controllo maniacale delle quantità e delle qualità rappresenta una modalità indispensabile per assicurarsi un senso di autonomia e indipendenza dai rapporti interpersonali.
Il trattamento dell’anoressia nervosa, essendo questo un disturbo molto complesso, richiede la strutturazione di un’équipe multiprofessionale composta, oltre che dallo psicoterapeuta, anche il medico curante, un nutrizionista e uno psichiatra per la eventuale terapia farmacologica. Quando lo stato della paziente è a un grave stato di malnutrizione, con relativi effetti sulla salute fisica, deve essere preso anche in considerazione un eventuale ricovero in reparto specialistico.
La cura delle complicanze mediche della malnutrizione deve essere considerato ad ogni passo della psicoterapia.
La cura degli aspetti medici e nutrizionali sono fondamentali, ma al fine di modificare il comportamento alimentare e la percezione che la paziente si è costruita di se stessa, è necessario un percorso psicoterapeutico focalizzato sull’acquisizione di una più profonda conoscenza di sé e dei propri aspetti emotivi e cognitivi. Una maggiore consapevolezza di sé consente, ad ogni individuo, innanzitutto, di riconoscere i propri meccanismi cognitivi ed affettivi disfunzionali e quindi facilita il cambiamento di questi, ma inoltre, favorisce, una migliore autonomia e autoefficacia, ossia, una integrazione dinamica delle capacità e delle conoscenze rispetto a se stessi e al rapporto con gli altri.
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