Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è un disturbo del comportamento dell’età evolutiva caratterizzato da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida verso le figure dotate di autorità che persiste per almeno 6 mesi ed è caratterizzato da almeno quattro dei seguenti comportamenti:
- spesso va in collera,
- spesso litiga con adulti,
- opposizione attiva o rifiuto di rispettare richieste o regole degli adulti,
- azioni deliberate che danno fastidio agli altri,
- accusare gli altri dei propri sbagli o del proprio cattivo comportamento,
- essere suscettibile o facilmente infastidito dagli altri,
- essere collerico e risentirsi,
- essere dispettoso o vendicativo.
Per definire il Disturbo Oppositivo Provocatorio, i comportamenti devono manifestarsi più frequentemente rispetto a quanto si osserva tipicamente nei soggetti di età e livello di sviluppo paragonabili e devono comportare una significativa compromissione del funzionamento sociale, scolastico, o lavorativo.
Tale disturbo viene distinto dal Disturbo della Condotta e dal Disturbo d’Attenzione Iperattività, per i quali bisogna eseguire una diagnosi differenziale.
Come si distingue un DOP da un normale temperamento del bambino?
Le modalità comportamentali ostili e provocatorie tipiche del DOP sono del tutto normali nei primi anni di vita di un bambino: in età prescolare infatti, l’aggressività e l’ostilità sono i mezzi attraverso i quali il bambino impara a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali e a sperimentare le prime forme di adattamento.
Ma è proprio prima dell’ingresso a scuola che cominciano a comparire i sintomi del disturbo ed è per questo che, in genere, risulta molto difficile identificarli, tanto che possono anche trascorrere degli anni prima che il problema venga identificato.
Tutti i bambini possono essere scontrosi e capricciosi, però nei soggetti con il DOP queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere il loro inserimento sociale.
La loro è un’ostilità continua e persistente, non rispettano le regole, hanno eccessi d’ira di fronte a obblighi e divieti e appaiono infastiditi da chi li circonda.
Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.
Quali possono essere le cause?
Il disturbo oppositivo-provocatorio è il risultato di una combinazione tra fattori individuali (temperamento, fattori biologici, distorsioni ed errori cognitivi) e fattori contestuali (stile educativo, caratteristiche familiari).
Vediamoli nel dettaglio:
Fattori individuali
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E’ possibile che si verifichi un’ inadeguata interazione tra il temperamento del bambino e il temperamento del genitore. Per esempio, l’eccessiva rigidità del genitore rispetto alle regole e alla disciplina potrebbe entrare in contrasto con l’eventuale curiosità e la voglia del bambino di sperimentare e di esplorare, con la sua necessità di trovare sempre nuovi stimoli.
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A livello biologico sembrerebbe che i bambini con disturbo oppositivo-provocatorio presentino un deficit nel sistema che controlla l’inibizione dei comportamenti aggressivi a causa anche di un basso livello di serotonina (un neurotrasmettitore implicato nella regolazione dell’umore) e di cortisolo (definito come l’ “ormone dello stress”).
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Da un punto di vista cognitivo giocano un ruolo anche le cosiddette distorsioni cognitive, cioè i pensieri che facciamo rispetto a ciò che ci accade e quindi il modo in cui interpretiamo le situazioni. In particolare sia i bambini con disturbo oppositivo-provocatorio che i loro genitori tendono ad avere un locus of control esterno, ovvero attribuiscono i comportamenti problematici a cause e motivi non dipendenti da se stessi: i genitori considerano questi comportamenti come tratti intenzionali, stabili e volutamente non controllati, mentre i bambini hanno difficoltà nel valutare in maniera corretta le situazioni, nello scegliere una soluzione adeguata per risolvere i conflitti e quindi valutare l’efficacia della propria strategia.
Fattori contestuali
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Spesso gli adulti tendono a prestare particolare attenzione solo ai comportamenti problematici aumentando così la probabilità che vengano ripetuti, mentre i comportamenti positivi, essendo tendenzialmente trascurati, tendono a verificarsi con minor frequenza.
Questo circolo vizioso negativo rimanda al bambino un’immagine negativa di sé e delle proprie scarse capacità, spingendolo a non cercare di migliorare.
Anche nella scuola i bambini con DOP accumulano esperienze negative: i continui rimproveri degli insegnanti e le reazioni dei compagni, i quali tenderanno ad isolarli, contribuiscono ad acuire problemi nell’apprendimento e nelle relazioni. Il bambino che sperimenta l’altro come ostile e giudicante, si creerà la convinzione che gli altri sono pericolosi e che quindi bisogna difendersi. -
Nel contesto familiare anche la gestione delle dinamiche in maniera aggressiva (per esempio i litigi tra i genitori, la violenza, alzare la voce) spesso modella i comportamenti dei bambini che riflettono e ripropongono gli stessi atteggiamenti dei genitori.
I bambini che vivono in contesti socio-culturali svantaggiati hanno infatti una maggiore probabilità di sviluppare un disturbo del comportamento.
Come intervenire?![dop1](http://spazio-psicologia.com/wp-content/uploads/2014/09/disturbo-opposizionale-provocatorio-300x199.jpg)
Questa tipologia di bambini ha bisogno innanzitutto di sentirsi capita.
Nonostante il soggetto con DOP voglia far credere di non curarsi del giudizio e della considerazione degli altri, in realtà non è affatto contento del suo modo di essere e delle opinioni che le altre persone hanno di lui.
L’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico. Si sente rifiutato, ma sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento e così sviluppa livelli molto bassi d’autostima che possono sfociare in un Disturbo dell’Umore.
Il soggetto con DOP è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi a lui in veste di amico, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare, alla fine, imparando a conoscerlo cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo, quindi è bene mettere subito alla prova queste persone, verificandone il loro grado di tolleranza a comportamenti volutamente ostili.
Ma modificare questo tipo di comportamento è possibile! E’ necessario però che l’intervento coinvolga non solo il bambino, ma anche la famiglia e la scuola in un’ottica ecosistemica.
La terapia maggiormente utilizzata è quella cognitivo-comportamentale la quale si focalizza su come il bambino si relaziona alle situazioni che percepisce come frustranti e pericolose (quindi sui pensieri e sulle emozioni) in particolare la rabbia, che ne derivano e punta ad insegnargli delle tecniche per imparare a gestirle.
- Il lavoro terapeutico con il bambino si svolge attraverso 3 fasi:
- Fase psico-educativa: il bambino impara a riconoscere i meccanismi che gli scatenano la rabbia e la relazione che c’è tra situazioni, emozioni e comportamenti.
- Acquisizione di abilità: il bambino impara alcune strategie, sia cognitive che comportamentali, che userà per gestire le situazioni che gli generano rabbia. Impara ad esempio a parlare a se stesso in maniera positiva, a esprimere in maniera corretta le proprie emozioni e le proprie richieste, a trovare soluzioni più funzionali per risolvere le situazioni problematiche. Avrà quindi la consapevolezza che può gestire i suoi comportamenti perchè dipendono da lui!
- Compiti a casa: le abilità apprese in seduta saranno poi messe in pratica anche a casa affinchè diventino, col tempo e con l’esercizio, delle consuetudini.
- Per quanto riguarda il lavoro con i genitori e gli insegnanti, è prevista una psico-educazione in cui potranno capire bene il disturbo e il meccanismo grazie al quale esso si mantiene. Con l’aiuto del terapeuta, impareranno a:
- focalizzare la loro attenzione sui comportamenti positivi del bambino in modo da incentivare la frequenza con cui si presentano e limitare il verificarsi di comportamenti indesiderati (attraverso strategie come il rinforzo positivo, la token economy...);
- riconoscere e interrompere i circoli viziosi che portano alla cronicizzazione del problema;
- avere pensieri più funzionali rispetto a se stessi e alle proprie capacità genitoriali,
- creare un ambiente familiare/scolastico affettivamente stabile e coerente.
Alcuni suggerimenti utili per genitori e insegnanti:
- Premiare i comportamenti positivi, anche piccoli ma che conducono alla condotta desiderata e allontanano da quella indesiderata
- Preferire i premi per i comportamenti positivi (anche piccoli) alle punizioni
- Evitare le prediche
- Preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole)
- Scegliere le punizioni solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri) e solo se si è provato tutto il resto.
- Decidere tre regole che tutti dovranno tenere in casa o a scuola (scegliere: “parlare a voce bassa” piuttosto che “non si grida”)
- Se si decide di rimproverare farlo con poche e specifiche parole es. “avevamo stabilito questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito ti tocca rinunciare a questo”
- NON usare mai la violenza fisica
- Se si lascia passare troppo tempo l’effetto sul comportamento svanisce, quindi bisogna intervenire tempestivamente
- Essere sempre chiari e leali
- Ricordarsi di dare il “buon esempio”: una risposta stizzita o aggressiva non fa che rinforzare il comportamento oppositivo del bambino
- Rimproverare in privato o comunque in modo tale che non possano udire terze persone al fine di non umiliarlo
- La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva. Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.
- Ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”.
Per approfondire:
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