L’adozione è la scelta di diventare genitori di un bambino non biologico, ossia generato da altre persone.
La scelta di occuparsi di un figlio altrui spesso viene presa come ultima possibilità di accesso alla genitorialità. La procedura per adottare un bambino è lunga e complessa, pertanto deve esserci una potente motivazione a voler raggiungere questo traguardo, con dispendio di denaro ed energie.
Diventare genitori è una scelta in parte fisiologica, dettata dall’istinto di procreare, in parte è una scelta d’amore dettata dall’altruismo verso un altro essere umano.
Ma siamo sicuri sia davvero così?
Cosa rappresenta un figlio?
L’arrivo di un bambino è un momento molto gioioso e innovativo in una famiglia, ma egli ribalta anche gli equilibri stabilitisi fino a quel momento nella coppia genitoriale e nella famiglia allargata, creando simbiosi e triangolazioni con gli adulti che lo accudiscono. Le cure e le attenzioni a lui rivolte generano anche conflitti e tensioni tra mamma e papà, tra genitori e nonni; un figlio, inoltre, apporta impegno e responsabilità nei futuri genitori, non sempre preparati a farsene carico.
Molti genitori, già prima che il bambino biologico nasca e prima che il figlio adottivo arrivi, hanno realizzato fantasie e progetti su di lui; hanno pianificato quale ruolo andrà a ricoprire, quale vuoto andrà a colmare, quale desiderio andrà a realizzare.
Nell’adozione tutti questi elementi si amplificano, poiché vengono ad aggiungersi ulteriori parametri con cui confrontarsi: la cultura, l’età, le origini e il passato del bambino.
Accade spesso che l’adozione venga vissuta come prendere un bambino per diventare genitori e non come offrire una famiglia ad un bambino solo. Le conseguenze di questa erronea visione crea non pochi problemi al bambino adottivo: sradicamento dalle sue origini, dalla sua cultura, dalla sua famiglia naturale, eccessivo invischiamento nelle relazioni genitore-figlio, con il pericolo di annullare la sua identità per fargliene assumere una già preconfezionata.
Si rischia, in tal modo, di annientare l’integrità del bambino stesso, rendendolo un burattino traslocato nella propria casa per supplire a mancanze della famiglia ospitante piuttosto che un dono di accoglienza e rispetto di una vita tormentata.
È pertanto giusto adeguarsi alle sue esigenze, ai suoi bisogni; nonostante assecondandolo si percepisca che il proprio ruolo di genitore sia relativo e vacillante, non totale, va comunque rispettato il suo intimo bisogno di mantenere i contatti con i parenti rimastigli, permettendogli di frequentarli ove possibile, di poter accedere alla cultura del suo paese natio, ai suoi ricordi.
Compito dei genitori adottivi è quello di restituire al figlio l’ integrità di cui è venuto meno, di stabilire con lui un rapporto di affetto e fiducia, di rispetto per le differenze e per i suoi tormenti interiori; evitando di inserirlo forzatamente nel ruolo tanto immaginato per lui durante la sua attesa.
Non comporta alcun vantaggio ignorare il passato e fargli iniziare una nuova vita, con un nuovo nome e un ossequioso sorriso sul futuro.
L’aiuto più grande può essere rappresentato solamente dall’accettazione incondizionata di lui come essere umano degno d’amore e della sua vita precedente che, se non fa parte dei genitori adottivi, resta comunque un momento carico di emozioni e dolore nel bambino. Aprirsi a lui e al suo malessere è un passo fondamentale per fortificarlo e poterlo rendere fiducioso verso la vita.
Scritto dalla dott.ssa Annalisa Iovane
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