Non siete persone cattive. Eppure quando la vostra collega riceve un premio, quando alla vostra migliore amica arriva la fatidica proposta di matrimonio, quando il vostro capo posta su facebook le fotografie della vacanza dei vostri sogni, vi sentite pervasi da un sentimento non esattamente piacevole e che mai si vorrebbe ammettere.
Si tratta della famigerata “invidia”, quell’emozione di cui si sente spesso parlare, sia in ambito lavorativo che nelle relazioni personali. Ma di cosa si tratta? è patologica o sana? è vero che la provano più le donne degli uomini? come affrontarla quando la si subisce? come riuscire a non farsi schiacciare da questo spiacevole sentimento? Proviamo a dare una risposta a queste domande.
Perché noi donne tendiamo ad essere invidiose, spesso e volentieri anche delle nostre amiche più care?
E’ necessario fare una premessa: l’invidia è un sentimento primitivo molto comune, che non viene quasi mai dichiarato per non rivelare il senso d’inferiorità che nasconde. L’invidioso non è mai soddisfatto di sé, percepisce propri limiti, reali o presunti, mentre riconosce negli altri doti e riconoscimenti che vorrebbe possedere vivendo questa disparità come una ingiustizia. Diverse ricerche mostrano che la diffusione di questo sentimento è assolutamente eterogenea: colpisce indipendentemente dall’età, dal ceto sociale, dal livello culturale e dal sesso.
Questo sentimento si manifesta con più facilità verso persone affini o simili per genere, età, professione con le quali siamo in contatto e con le quali è dunque più semplice confrontarsi. Ecco perché si scatena spesso verso persone vicine, come gli amici e le persone care che condividono con noi gran parte del nostro ambiente.
Cosa si nasconde dietro il sentimento dell’invidia?
Dietro all’invidia si possono celare differenti sentimenti: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, impotenza, odio e rabbia per il successo dell’altro che sembra oscurarci. Non percepiamo le nostre risorse, potenzialità e possibilità, ma il nostro pensiero si concentra sullo svalutare l’altro nel tentativo di preservare il nostro valore.
Ricordate la favola della volpe e l’uva? La volpe, non potendo raggiungere l’uva, dice che è amara. Allo stesso modo, se svaluto l’altro e quello che ha, lo porto al mio livello e riesco così a mitigare il mio senso di inferiorità e frustrazione scaturito dal confronto.
Svalutare ciò che non si può ottenere è dunque una strategia per nascondere i nostri limiti: è una sorta di autoinganno utilizzato dalla nostra mente per preservare il nostro ego.
Alcuni ricercatori hanno evidenziato come chi prova invidia non riesca ad instaurare relazioni positive con gli altri, restando bloccato in sentimenti come il risentimento, l’astio e la vergogna. Alla base vi è sempre un senso di insicurezza che porta ad una scarsa fiducia di sé, ad una bassa autostima e alla tendenza ad attribuire successi e insuccessi a cause esterne a sé, come la fortuna o la sfortuna.
Esiste anche l’invidia buona?
Nell’immaginario popolare l’invidia viene sempre considerata con accezione negativa, ma in realtà a fianco dell’invidia distruttiva vi è un’invidia assolutamente sana e costruttiva. Difatti quando il senso critico viene utilizzato non per distruggere l’altro, ma per vederne le qualità che anche noi vorremmo avere, l’invidia si trasforma in sana ammirazione e diventa il motore utile a realizzare i nostri obiettivi, a muoverci ed a crescere. Utilizzare questa facoltà per confrontarsi con l’altro può spingere a migliorarsi, invece che sentirsi frustrati e denigrare l’altro.
E’ così che “Se lei sì, perché io no?” diventa una motivazione all’azione che ci stimola a raggiungere traguardi sempre più lontani ed accettare i nostri limiti, trasformandosi in “Se lei può, posso farcela anch’io!”.
Anche i maschi sono invidiosi tra di loro?
Sebbene socialmente si pensi all’invidia come ad un sentimento prettamente femminile, una ricerca di qualche anno fa condotta da psicologi e psicoanalisti, analizzati oltre 1.300 uomini e donne fra i 25 e i 50 anni, ha rilevato che sono gli uomini a provare invidia nel 78% dei casi. Le donne lo sperimenterebbero invece solo per il 43%. L’ invidia non sarebbe dunque un sentimento prettamente femminile, ma squisitamente maschile.
Gli uomini la sperimentano però più sul lavoro che nella vita privata. Tentano di tagliare fuori colleghi di lavoro lasciandoli all’oscuro di alcune informazioni, non riconoscono i meriti della persona invidiata, gettano discredito sulle sue idee (le donne solo nel 26%). Il 78% arriva ad insinuare che i meriti ottenuti non derivino da capacità ma da favori o raccomandazioni (solo nel 66% dei casi femminili), fino a sottolineare i difetti fisici dei propri rivali in pubblico. Oggetto d’invidia sembrano essere alla fine più le donne che gli uomini (66% contro il 44%).
La ragione principale sarebbe da ricondurre, secondo la ricerca, al fatto che molte donne fanno carriera e si affermano nel mondo del lavoro e questo le renderebbe bersaglio dell’invidia sociale.
Come superare questo sentimento in maniera positiva?
Prima di tutto bisogna ammettere il sentimento. Riconoscere la propria situazione è già un buon passo in avanti, poi occorre sfruttare l’invidia come uno stimolo a conoscersi e a migliorarsi.
“L’invidia è la ladra della gioia” diceva Theodore Roosevelt e su questa affermazione, chi prova invidia “distruttiva”, dovrebbe fermarsi a riflettere, domandandosi in primis se continuare su questa strada sia davvero proficuo per lei. L’invidia è infatti legata a doppio filo con l’autostima, ci costringe ad un continuo confronto tra noi e gli altri, o meglio, tra ciò che non va nella nostra vita e l’immagine distorta e superficiale che abbiamo della vita altrui. Da questo confronto ossessivo ed ìmpari usciamo inevitabilmente sminuiti, frustrati, sconfitti. Ma l’essere umano è in grado di provare anche una forma di invidia buona ed è su questa che dobbiamo lavorare. Osservare pregi e difetti dell’altro infatti permette di confrontarsi con se stessi e comprendere cosa va migliorato, ovvero quali sono i limiti e le potenzialità inespresse di sé da migliorare.
Sfruttiamo, quindi, questo sentimento come un input per fare meglio.
Dopo aver riconosciuto di essere invidiosi, il passo successivo per superare l’invidia e realizzare i nostri obiettivi consiste dunque in una piena e totale assunzione di responsabilità. Responsabilità significa letteralmente capacità di dare risposta. L’invidioso di norma attribuisce la responsabilità della propria situazione sempre agli altri, agli eventi e alla sfortuna, privandosi di fatto della “capacità di dare risposta”, di decidere attivamente del proprio futuro. Per superare l’invidia dobbiamo dunque assumerci appieno la responsabilità dei risultati che abbiamo ottenuto finora, sia buoni che cattivi. Solo in questo modo prenderemo nuovamente il controllo della nostra vita e smetteremo di preoccuparci di ciò che stanno ottenendo gli altri, focalizzandoci invece su ciò che vogliamo ottenere noi e sul come farlo.
L’invidia può diventare patologica?
Di norma l’invidia, sebbene sia un sentimento logorante per chi lo prova, è distruttivo ma non patologico. Diventa malattia in un caso particolare, classificato come “invidia maligna”. Si tratta di una regressione del sentimento al suo stadio primordiale, caratterizzato da ostilità, avversione, antipatia, odio molto intensi, in cui prevale l‘istinto aggressivo. Il soggetto identifica ciò che l’altro possiede, non tanto come qualcosa di intensamente desiderato, ma addirittura come qualcosa che gli è stato rubato. In conseguenza di questa percezione distorta della realtà, l’invidioso si sente deluso e attaccato e, per difendersi, reagisce in maniera ostile. L’aggressività di questi soggetti può essere anche solo emotiva, non necessariamente materiale, tuttavia si oppone strenuamente ai tentativi di psicoterapia.
Come difendersi dalle persone invidiose?
Innanzitutto è bene ricordare che è l’invidioso la vera vittima di sé stesso: è una persona insicura che ha un grave problema di autostima e che cerca di svalutare noi per potersi sentire un po’ meglio. Ricordare che chi si comporta così ha un problema, può aiutarci a non lasciarsi coinvolgere nella competizione ed anzi ad agire in modo non ostile nei suoi confronti. Se si riesce a comprendere questo, si può facilmente rispondere ad eventuali attacchi con indifferenza anziché rispondere per le rime.
Può capitare che anche l’amica di una vita, trovandosi magari in un particolare momento di insoddisfazione personale, sia irritata dal nostro essere felici per il lavoro che facciamo, per la relazione che stiamo vivendo o magari perché siamo riuscite a raggiungere un traguardo per lei molto importante, come ad esempio una gravidanza. Ecco che ci si può trovare dunque in situazioni spiacevoli nelle quali ad esempio dietro ad un complimento, esterna considerazioni eccessivamente dirette e critiche. La sua può essere una cattiveria inconsapevole che nasce dal senso di inadeguatezza che lei ha nei nostri confronti. Quindi, se le vogliamo bene, comprendendo che ciò che sta esprimendo è frutto di una sua forte difficoltà, possiamo ignorare questo commento, sebbene ci faccia rimanere molto male.
Ma se questo tipo di commenti e frecciatine diventano la norma o se l’amica inizia a mettere in atto altri spiacevoli comportamenti segno di invidia, allora è il caso di parlargliene chiaramente, mostrandosi cooperative e esplicitando come ci fa sentire questo genere di comportamenti e quanto questo ci dispiaccia, dato l’affetto che abbiamo per lei.
Insomma, anziché rispondere per le rime, molto meglio farle arrivare il messaggio che abbiamo capito che è in difficoltà e che siamo disponibili a darle una mano, iniziando col ricordarle quale visione positiva abbiamo di lei.
Se l’invidia si scatena in ufficio la situazione è un pò diversa in quanto si confonde con la competitività propria degli ambienti lavorativi, rischiando di assumere toni veramente spiacevoli. Può capitare ad esempio che l’essere oggetto di invidia si traduca nell’essere oggetto di maldicenze o peggio, di colleghi che si prendono meriti per il lavoro che in realtà abbiamo svolto noi. Anche in questo caso la soluzione migliore è non rispondere a tono poiché si rischierebbe di peggiorare il clima lavorativo complicando ulteriormente la situazione. Molto meglio invece cercare di ignorare la collega invidiosa, rettificando senza attaccare solo quando strettamente necessario a livello lavorativo ed evitando qualsiasi confidenza, così da dare meno spunti possibili per essere nuovamente attaccate.
Siete mai stati invidiosi o oggetto d’invidia da parte di altri?
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[…] questa descrizione dell’invidia femminile con alcuni dati, che ho tratto da un articolo su una rivista di psicologia: una ricerca condotta da psicologi e psicoanalisti che hanno analizzato oltre 1.300 uomini e donne […]