Nikefobia, ovvero la paura di vincere.
A tutti gli appassionati di sport, ma anche a chi lo segue sporadicamente, è capitato quasi sicuramente di sentir parlare di nikefobia, cioè la paura di vincere.
Quando si parla di nikefobia, si fa, solitamente, riferimento a un atleta o una squadra sportiva che, pur avendo la possibilità di vincere un torneo o un campionato, fallisce inspiegabilmente le ultime gare o partite perdendo così la possibilità di trionfare.
Come possiamo immaginare, la mente di un’atleta, esattamente come quella di qualsiasi essere umano, è molto complessa e, come spesso accade nella vita di tutti i giorni, se non siamo in grado di controllare alcune dinamiche, può diventare un grosso ostacolo per il raggiungimento degli obiettivi che ci prefiggiamo.
Cosa succede quando un atleta “cade” così vicino al traguardo?
Ovviamente, come per ogni ambito della psicologia, non esiste una risposta univoca a questa domanda. Le cause, comunque, quando derivano da un “blocco” mentale dell’atleta o della squadra e non riguardano motivi strettamente tecnici o tattici, possono essere lette secondo due categorie:
- Eccessiva ansia e quindi una scarsa capacità di gestirla
- Nikefobia o “paura del successo”
Ansia, sempre lei…
Per quanto riguarda la prima, come abbiamo già analizzato precedentemente, si tratta di una situazione in cui, sentendo più vicino il traguardo, l’atleta o la squadra percepisce anche un innalzamento del livello di ansia per la paura di perdere tutto dopo averlo solo sfiorato. Se quest’ansia (che, come abbiamo già visto, è utile per poter mantenere alto il livello di concentrazione e di attivazione corporea) non viene gestita in maniera corretta, accade che si possa trasformare da alleato in nemico e quindi di diventare un blocco (anche fisico) che non permette di poter dare il 100% in gara, aumentando la possibilità di perdere le ultime gare e di lasciarsi sfuggire il risultato finale.
Paura di vincere
La vera e propria nikefobia, invece, è quella che viene chiamata L’inibizione al successo.
La nikefobia è un vero e proprio blocco mentale che impedisce all’atleta o alla squadra di raggiungere gli obiettivi. A differenza della scarsa gestione dell’ansia, la nikefobia è una problematica un po’ più profonda poiché ha cause più radicate e difficili da trovare.
Per cercare di capire quali siano i motivi di questo blocco, ci viene incontro il filone di studi legato alla psicopatologia, che ha dedicato allo sport diversi approfondimenti (il legame tra psicopatologia e sport sarà analizzato in articoli successivi).
Secondo Antonelli e Salvini, le cause che possono portare a questo blocco sono diverse:
- Isolamento sociale ed affettivo: la vittoria, infatti, secondo gli autori, può portare ad un allontanamento da parte di persone vicine e lontane (come ad esempio i tifosi) che, dopo aver supportato l’atleta o la squadra per un lungo periodo e dopo aver festeggiato il trionfo, potrebbero far percepire come più distante il loro supporto.
- Sensi di colpa generati da un uso dell’aggressività che serve a raggiungere la vittoria, ma valutata dal soggetto come eccessiva
- Risentimento: cioè il sentimento di ostilità nei confronti di chi ha avuto aspettative troppo alte nei riguardi dell’atleta o della squadra fornendo solo feedback negativi per ogni minimo errore o sbavatura. Si tratta quindi di un modo per “punire”, ovviamente inconsciamente, questi soggetti negativi per l’atleta o per la squadra
- Razionalizzazione : l’atleta prende coscienza del peso emotivo che può crearsi in lui dopo un successo e la paura di non poter gestire queste emozioni così forti dovute alla vittoria e lo scarico emotivo che ne consegue porta ad un blocco che lo allontana dalla vittoria finale.
- Paura del mito : cioè il timore nei confronti delle aspettative che le persone che seguono l’atleta, i tifosi o i media in generale, possono rigettare sul soggetto “obbligandolo” a ripetersi. In poche parole è la paura che, vincendo, porti con sé una serie di aspettative nei suoi confronti che magari non riuscirebbe a soddisfare, creando quindi sentimenti di delusione.
Come affrontarla
Essendo dinamiche che non si sviluppano coscientemente nella “testa” di un atleta, ma avvengono in maniera automatica o inconscia, è difficile poter razionalizzare il problema cercando di spronare l’atleta o la squadra a “non pensare a queste stupidaggini…” (la frase peggiore da poter dire a riguardo di dinamiche mentali ma che, ahimè, spesso si sente soprattutto negli spogliatoi sportivi), ma invece devono essere affrontate con un professionista che può dare un aiuto concreto.
Ovviamente, come sempre, il primo passo, quello più importante per poter affrontare un percorso psicologico, è il riconoscimento del problema che una volta percepito, può venire affrontato in maniera più diretta senza mettere la testa sotto la sabbia e dover poi affrontare conseguenze più grosse, la prima di queste è quella di gettare al vento mesi di lavoro e di preparazione lasciandosi sfuggire il traguardo finale quando ormai lo si può quasi toccare.
Per approfondire il tema:
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