Federica (nome di fantasia) è una ragazza di 16 anni come tante che in una estiva serata di Agosto decide di andare ad una festa in casa di amici: da quella sera la sua vita non è più come prima. Ciò che ha vissuto è una ferita che continuerà a sanguinare molto più delle altrettante dolorose ferite del corpo.
Facciamo, però, un passo indietro e ripercorriamo la vicenda.
“Vieni al mio compleanno Fede?“
Vestito, scarpe, trucco, capelli, profumo e via pronta per la serata; d’altronde le premesse c’erano tutte: l’estate, la festa di compleanno, gli amici, le chiacchiere, le risate e la voglia di divertirsi.
Federica non poteva proprio immaginare che quello che sarebbe successo quella sera l’avrebbe segnata in maniera così profonda e dolorosa: cinque compagni di classe (di cui uno ancora minorenne) l’hanno indotta a bere molti drink alcolici, dopodiché l’hanno rinchiusa in bagno, dove, alternandosi tra di loro, mentre uno faceva il “palo” alla porta, l’avrebbero costretta ad atti e rapporti sessuali completi. Consumata la violenza di gruppo, i giovani si sarebbero comportati come nulla fosse, assumendo addirittura un atteggiamento di scherno nei confronti della ragazza violentata e vantandosi della loro impresa con altri amici.
I cinque studenti, tutti incensurati e di buona famiglia, sono stati denunciati a piede libero nei giorni scorsi in seguito alla querela sporta dalla 16enne “alla quale sono seguiti alcuni accertamenti investigativi e delle visite mediche, che hanno dato un preliminare riscontro circa la fondatezza delle accuse“.
La procura di Modena e quella dei minori di Bologna hanno disposto la notifica di un’informazione di garanzia a carico di tutti e cinque i denunciati e la loro sottoposizione all’esame del dna. I risultati dell’esame saranno trasmessi al Ris di Parma per il confronto con le tracce biologiche presenti sulla biancheria della sedicenne. I giovani indagati rischiano dai 6 ai 12 anni di reclusione.
A cosa ci fa pensare questa vicenda?
Innanzitutto al fatto che da agosto che è avvenuto l’abuso se ne parli soltanto ora: perché? Le indagini erano ancora in corso o la ragazza ha portato dentro di sé quanto avvenuto perché non riusciva a parlarne?
In secondo luogo mi viene da riflettere sulle dinamiche specifiche della violenza di gruppo, in cui, infatti, ci si sente meno colpevoli, perchè si scarica la propria parte di responsabilità sugli altri componenti.
Massimo Di Giannantonio, docente di psichiatria all’Università di Chieti, commenta così la vicenda di Modena: “In gruppo le tematiche aggressive e violente aumentano (…), si tratta di comportamenti assolutamente diseducativi che nascono all’interno di una cultura falsificata del rapporto uomo-donna“.
Infine, ma non in ordine di importanza, mi viene da fare una considerazione più specifica sui ruoli di aggressore e vittima. Tematiche di violenza e aggressione sono oggi di estrema attualità: se ne parla molto spesso nelle cronache giornalistiche, in servizi specializzati e persino negli show televisivi. Potremmo chiederci che senso abbia un’informazione dove vengono riportati fatti riguardanti aggressioni, con tanto di dettagli cruenti, senza entrare nel merito delle motivazioni che hanno portato all’atto, cioè senza spiegare come una persona è diventata aggressore e un’altra vittima.
Riflettiamoci: Che cosa proviamo mentre la ascoltiamo? E dopo averla ascoltata come ci sentiamo? Molto spesso, nonostante la ridondanza di queste notizie, proviamo comunque rabbia e disgusto; quante volte abbiamo pronunciato frasi come “Quello lì dovrebbero rinchiuderlo e gettare via la chiave!” o “Per gente del genere il carcere non è abbastanza!”? Poi, però, passiamo ad uno stato di quasi indifferenza quando il TG propone il servizio successivo.
In realtà, penso che si parli troppo poco di come un’aggressione nasca e si sviluppi, delle motivazioni che portano una persona ad aggredire un’altra e quest’ultima ad essere nelle condizioni di essere aggredita. Si parla poco e, a volte, proprio non si parla, delle emozioni che permeano gli attori dell’aggressione. Si riflette troppo poco su come l’aggressione funzioni, da un punto di vista psicologico e relazionale. La rabbia, il rancore, la gelosia ossia emozioni di base che sperimentiamo tutti in svariati contesti, sono la benzina che porta potenziali aggressori a diventare aggressori a tutti gli effetti, quando non riescono a gestirne l’intensità e a mantenere la portata di queste emozioni sotto controllo. Dall’altra parte della barricata c’è poi la vittima, la quale, a seguito di questi fatti, potrebbe iniziare a manifestare una serie di sintomi che incideranno sul funzionamento normale della sua vita, tra cui i sintomi tipici del Disturbo da Stress Post-Traumatico (re-experiencing, evitamento, iperarousal), sintomi dissociativi, depressivi, attacchi di panico, disturbo del sonno e della sfera sessuale.
Cosa si può fare in questi casi?
Ciò che risulta fondamentale fin da subito è di sicuro il denunciare gli abusi e l’aggressore agli organi di Stato competenti, nonché il ricevere aiuto, supporto e comprensione dai familiari, per evitare l’autoalimentarsi di sentimenti di colpa e vergogna. In questi casi è necessario che le vittime di violenze e abusi chiedano aiuto psicologico. Ciò è possibile, per esempio, rivolgendosi presso un centro antiviolenza, o presso asl, consultori familiari e centri psico-sociali (CPS), dove si possono trovare esperti psichiatri e psicoterapeuti che possono aiutare a rielaborare quanto accaduto, attenuando gradualmente i sintomi per poi estinguerli definitivamente. Un percorso di cura può essere effettuato anche privatamente, ma sempre con l’aiuto di uno psichiatra o psicoterapeuta. Talvolta, può essere necessario accostare una terapia farmacologica (a cura dunque del medico psichiatra), indispensabile per attenuare i sintomi più acuti e dolorosi, ad una psicoterapia effettuata da uno psicoterapeuta, il cui fine ultimo è quello di permettere a chi soffre di riprendere in mano la propria vita.
Scritto dalla dott.ssa Elena Parise, psicologa
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