“Taranto, bar in crisi. Proprietario 37enne si suicida impiccandosi. L’ennesima tragedia legata alla crisi economica che stiamo attraversando. Un commerciante di Martina Franca, in provincia di Taranto, si è ucciso impiccandosi con una cinghia all’inferriata della propria casa in campagna.”
E’ del 27 settembre 2013 l’ennesima notizia che lega crisi e suicidi. E come questa, purtroppo, tantissime altre la precedono.
Ma è davvero solo colpa della crisi?
Cerchiamo di inquadrare più da vicino la situazione. Negli ultimi tempi, soprattutto a causa della forte crisi economica che sta coinvolgendo l’Europa, ed in particolare l’Italia, torna in maniera prepotente l’argomento della disoccupazione. La disoccupazione giovanile soprattutto. Innanzitutto, i giovani adulti si trovano ad affrontare un momento di transizione di per sé delicato: il passaggio all’adultità (Arnett, 2004; 2006). L’incertezza di per sé costituisce fonte di stress, anche se i modi per affrontarla sono molto soggettivi: c’è chi riesce ad adattarsi meglio di altri. I livelli di adattamento causano differenti condizioni di benessere psicologico o di malessere.
Cosa accade in Italia?
Facendo il punto sulla situazione italiana, con la Riforma Biagi (Legge 30, 2003), al fine di facilitare la flessibilità del lavoro e di ridurre la disoccupazione, è stato introdotto il tipo di contratto a tempo determinato.
Un italiano su sei è assunto con questo tipo di contratto e la percentuale di occupazione italiana è la più bassa tra tutti in Europa (ISTAT 2007). I cosiddetti lavoratori italiani atipici vivono in maniera negativa l’esperienza dei contratti a tempo determinato. Notevoli conseguenze si riversano sulla vita personale: insoddisfazione, ansia, depressione, sfiducia nel futuro e disinteresse verso il lavoro attuale. Per quanto i contratti a tempo determinato possano garantire flessibilità alle imprese – da non sottovalutare anche il fatto che questi tipo di contratto costano notevolmente meno rispetto a quelli a tempo indeterminato – c’è anche l’altra faccia della medaglia: la difficoltà di un lavoratore di sentirsi stabile: quanta possibilità c’è che da una tipologia di contratto determinato possa arrivare un’assunzione a tempo indeterminato? Davvero significativo è il numero di persone che non vedono nemmeno un rinnovo al termine del loro contratto (e, purtroppo, non sono solo i giovanissimi).
Nei Paesi Europei, invece, la flessibilità del lavoro è stata introdotta dal 1970: ciò comporta che i lavoratori siano più esperti e abituati alla flessibilità, tanto da riuscire a trovare un equilibrio tra soddisfazione e reddito (Bynner, 2001). Inoltre, i salari dei lavoratori all’estero sono più alti rispetto a quelli in Italia. Ciò comporta maggiore soddisfazione e motivazione sul lavoro.
Come se non bastasse, al di là delle questioni pragmatiche, in linea generale bisogna tener conto delle reazioni degli individui ai bruschi cambiamenti. In questo momento storico, in cui le preoccupazioni maggiori riguardano il lavoro – sia per chi lo cerca, sia per chi non vuole perderlo – alcune persone riescono a mantenere una buona salute psicologica e ad affrontare i problemi della vita quotidiana nonostante la perdita o la mancanza di lavoro.
Non dimentichiamoci, infatti, che gli aspetti soggettivi, le strategie di coping degli individui, i tratti di personalità, giocano un ruolo determinante in ogni situazione. Per cui, non bisogna commettere l’errore di pensare che la disoccupazione causi suicidi, come purtroppo i media vogliono far credere: il contesto, per quanto crudo e pesante esso sia, grava su ogni individuo in maniera differente e riecheggia in modi diversissimi. Non è la situazione in sé a causare tragiche conseguenze, ma è il modo in cui ognuno di noi reagisce allo stress, ai cambiamenti, alle situazioni, in un’ottica biopsicosociale che non perde di vista la soggettività degli individui e l’oggettività del contesto.
Scritto da Valentina Costanzo.
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